La giornalista italo-iraniana a Carpi

Farian Sabahi: “Vietato generalizzare. Ci sono anche donne pilota”

Carpi – “Come sono le donne occidentali?” è un interrogativo utile per guardare la questione dall’altra parte, nel tentativo di comprendere donne apparentemente lontane come quelle musulmane. «Se pensiamo che ognuno è un mondo a sé, qui come altrove è difficile generalizzare. Il medio oriente, in particolare, è un mosaico di popoli e di religioni. Nel mondo ci sono 900 milioni di donne musulmane che vivono in America, Europa, India, Tunisia o in Indonesia. Ci sono donne analfabete, altre sono scienziati nucleari o che addirittura guidano aerei». Così si è espressa Farian Sabahi, giornalista e scrittrice italo-iraniana che giovedì scorso a Carpi, nell’ambito della rassegna “Mondi arabi”, ha parlato di Islam e democrazia partendo dal suo libro “Noi Donne di Teheran” che raccoglie racconti sulle origini della capitale iraniana, sulle sue contraddizioni, sui diritti delle minoranze religiose e delle donne. 

Da un incontro fatto a Peshawar, in Pakistan, Sabahi rivela gran parte dell’essenza complessa e strutturata del mondo arabo: «Era il 1998, stavo rientrando a Lahore ed eravamo solo due donne in sala d’attesa. L’altra era pilota della compagnia di bandiera pakistana e indossava la classica divisa. Mi raccontò che guadagnava 3 mila dollari al mese, una cifra molto alta, e che il patto col marito era che non usasse i propri guadagni per mantenere la famiglia, perché lui ci avrebbe perso l’onore. Mi disse che le autorità saudite, al controllo passaporti, inorridirono di fronte alla vista della prima donna di airbus che non indossava il velo e le chiesero dove fosse suo marito». 

Nei paesi arabi a maggioranza musulmana ci sono vari aspetti giuridici che penalizzano la donna. Quelle che in Occidente sono percepite come discriminazioni vengono spesso giustificate dai religiosi di fede musulmana. Fra queste, la testimonianza in tribunale che vale la metà rispetto a quella di un uomo; l’eredità, per cui a volte le donne non ereditano, perché secondo la legge islamica non hanno bisogno di ereditare in quanto devono essere mantenute dal padre o dal marito. In caso di divorzio i figli vanno a vivere con la famiglia del padre e soltanto grazie alla battaglia di Shirin Ebadi, donna iraniana premio Nobel per la pace nel 2003, le madri oggi possono appellarsi al principio di competenza: ossia dimostrare che sono perfettamente in grado di provvedere ai figli. 

Sul tema del velo Farian Sabahi spiega che in Iran «…è obbligatorio per legge dal 1980. Le donne iraniane dovrebbero avere la libertà di scegliere se metterlo o meno, ma parlare di velo è una banalità. Le cose importanti per l’emancipazione delle donne iraniane riguardano soprattutto i tassi di istruzione. Il 65 per cento della popolazione universitaria è composta da donne e di queste nove su dieci sceglie di fare il medico, l’ingegnere o il dentista. In Iran la via dell’emancipazione è legata al reddito e per arrivarci occorre un buon titolo di studio». Ai nostri occhi può apparire bizzarro che in un paese islamico il monopolio dell’istruzione sia nelle mani delle donne e addirittura si è reso necessario introdurre le quote azzurre per dare a uomini e donne pari opportunità. La questione del velo, dunque, è soltanto la punta dell’iceberg di problematiche ben più gravi. «A Torino dove vivo – ha concluso Sabahi – ho incontrato addirittura una donna con il niqab. La cosa curiosa era che a indossarlo era un’italiana che ha sposato un egiziano ma che non aveva nemmeno mai messo piede in un paese musulmano. Si tratta semplicemente di scelte motivate dall’incontro con un’idea particolare di Islam».

Nelle foto, Farian Sabahi e il pubbico intervenuto all’incontro

 
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