L'assessore Gasparini e Roberto Guaitoli (Lapam)

Spostarsi sulla qualità paga e rende competitivi anche per le mascherine

Dopo l’annunciata  volontà, da parte del Governo,  di stabilire il prezzo di  vendita delle mascherine  chirurgiche a 50 centesimi  al pezzo (al netto dell’Iva),  Carpi Fashion System e le  associazioni di categoria del  territorio hanno espresso le  loro perplessità. Il progetto  coordinato dal Comune  di Carpi e finanziato  dalla Fondazione Cassa di  Risparmio di Carpi è infatti  da poco sceso in campo per  sostenere la riconversione  produttiva del distretto  tessile locale lanciando  un bando da 50 mila euro  per aiutare le aziende ad  affrontare le spese per  le analisi e i controlli e  avviare così la produzione di  mascherine. Si tratta, nello  specifico, di mascherine con  livelli di qualità simili alle  chirurgiche standard, ma  che, al contrario di queste  che sono monouso, saranno  lavabili e riutilizzabili.  «Siamo concordi  nell’esigenza di avere un  prezzo calmierato per evitare  assurde speculazioni, ma  dobbiamo anche ricordare  che questo annuncio ha  creato molta confusione  negli imprenditori e nella  popolazione – dichiara  il vice-sindaco Stefania  Gasparini –. Non bisogna  dimenticare che le aziende  del territorio hanno  sostenuto costi di tempo,  manodopera e materiali per  avviarsi alla produzione, e  che il prezzo imposto rischia  di non coprire neppure il  costo del tessuto, che deve  essere di particolare qualità  e la produzione interamente  made in Italy. Nessuno  pensa di arricchirsi, credo  che l’amministrazione  pubblica debba mediare  tra le diverse esigenze.  Anche perché – precisa  l’assessore all’Economia  – bisogna distinguere tra  mascherine chirurgiche di  importazione e monouso  e quelle lavabili certificate  che, a oggi, è impossibile che  possano essere vendute a 50  centesimi. Ancora di più, se  la mascherina diventerà un  bene fondamentale occorre  preservare la filiera italiana,  dal momento che il nostro  Paese, come tanti altri,  all’inizio dell’emergenza era  totalmente dipendente dalla  produzione estera. Non ce lo  possiamo più permettere».

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