Sono 422 nell’Unione e 256 in città i casi di bambini afflitti da dsa

I disturbati dell’apprendimento

Se ne parlerà a Carpi al convegno del 26 aprile alla Loria sulla dislessia

Carpi – Difficoltà nella lettura, nella scrittura, nei calcoli. Problemi nella comprensione del testo, salti di riga, inversione delle lettere, lentezza, affaticamento, iperattività, disorganizzazione e confusione. Spesso confusi con stupidità e svogliatezza, i disturbi specifici dell’apprendimento sono un problema ancora sottovalutato e sconosciuto, anche tra gli stessi insegnanti. Capire che cosa significhi vivere con un disturbo dell’apprendimento (Dsa) è importante per andare incontro a un fenomeno che riguarda quasi 187 mila bambini solo in Italia e che ha toccato anche nomi illustri come Einstein, Disney, Spielberg e Pennac: segno che Dsa non è certo sinonimo di scarsa intelligenza.

Nel territorio dell’Unione, ne sono affetti 422 bambini, di cui 256 solo a Carpi.

E la percezione generale, tra gli addetti del settore, è quella di un aumento delle certificazioni, firmate talvolta a sproposito e di un progressivo disinteresse dei bambini nella propria carriera scolastica.

Ma si è registrato davvero un aumento? Cosa sono i disturbi specifici dell’apprendimento? E a quali strumenti possono ricorrere i ragazzi per compensare il proprio deficit?

Abbiamo chiesto l’opinione di medici, insegnanti e tecnici comunali per saperne di più, anche in vista del convegno in programma per martedì 26 aprile “La dislessia continua a raccontarsi” (ore 21, presso l’auditorium Loria), promosso dalla onlus Effatà, con il patrocinio dell’Unione.

Il quadro

È Emma Avanzi, responsabile del reparto di Neuropsichiatria dell’infanzia e adolescenza del Ramazzini di Carpi a spiegarci che cosa si intende per Dsa: «Il Disturbo specifico di apprendimento (come da Lg.170/2010) è una difficoltà neuropsicologica relativa agli ambiti della letto-scrittura e delle abilità aritmetiche. In pratica c’è una compromissione specifica e significativa in uno o più ambiti degli apprendimenti scolastici».

Si parla infatti di dislessia, disortografia, disgrafia, disprassia e discalculia a seconda della specificità del disturbo a cui corrispondono modalità di compensazione diverse. Il problema deve essere diagnosticato da uno psicologo o neuropsichiatra, solitamente intorno agli 8 anni, che si occupa anche della segnalazione alla scuola.

«I Dsa possono anche essere aggravati dal contesto psico-educativo e talvolta possono presentarsi in maniera associata – spiega Paola Sacchetti, responsabile del Coordinamento pedagogico del Comune di Carpi –: ad esempio un bambino può soffrire di dislessia e disgrafia o di dislessia e discalculia allo stesso tempo. Ma non si tratta di mancanza di intelligenza, solo di difficoltà nelle modalità di apprendimento tradizionali. Se debitamente compensati, tali disturbi possono essere risolti completamente e il bambino può avere una carriera scolastica normale».

Un aspetto fondamentale del percorso dei bambini affetti da Dsa, è il risvolto psicologico provocato dai loro disturbi: «Possono soffrire di bassa autostima ed essere molto rinunciatari, ansiosi e insicuri durante il periodo scolastico – spiega ancora Avanzi –. Tendono a chiudersi in loro stessi e hanno difficoltà a relazionarsi con i coetanei. L’altro aspetto importante da non trascurare – continua – è la difficoltà a volte ad accettare il disturbo sia da parte delle famiglie, che dei bambini, che tendono di conseguenza a nascondere le proprie difficoltà all’interno del gruppo classe per il timore dei giudizi dei compagni».

I Dsa non vanno poi confusi con i Bes, gli alunni con bisogni educativi speciali, cioè «…tutti quei bambini che presentano necessità di interventi di aiuto in ambito scolastico, ma che non presentano disturbi cognitivi specifici – precisa la Psicologa –. In questi casi alla scuola è lasciata piena autonomia di predisporre un piano didattico personalizzato e di andare quindi incontro ai bambini e alle famiglie».

Alla domanda se stiamo assistendo a un effettivo aumento delle certificazioni o se si tratti solo di una percezione dovuta a una maggiore attenzione al tema, Avanzi risponde: «Entrambe le cose. C’è sicuramente maggiore sensibilità nei confronti delle difficoltà scolastiche, ma anche una più elevata incidenza nella popolazione. In Italia si stima che il 3-5 per cento dei bambini e ragazzi che frequentano la scuola presenti un Dsa. A livello regionale tale indice raggiunge il 5 per cento e la nostra realtà provinciale è in linea con i dati riportati dalla Regione».

Da quindici anni infatti, l’Unione Terre d’Argine, effettua una vasta operazione di screening, svolta ogni anno in prima elementare: a tutti gli alunni viene somministrato un test che fornisce informazioni sulle logiche di apprendimento del bambino e consente di sapere in anticipo se vi è la possibilità di sviluppare eventuali disturbi in futuro. «Per coloro per cui si hanno sospetti poi – spiega Sacchetti –, viene data la possibilità di svolgere laboratori di sostegno e potenziamento e vedere se tali difficoltà vengono risolte o se persistono. È un lavoro importante, perché consente di cominciare poi a lavorare sulla compensazione delle modalità di studio».

Gli strumenti

Come può dunque, un ragazzo con Dsa, superare le sue difficoltà? A oggi è opportuno parlare sia di strumenti, che di approcci o modalità per sviluppare un approccio efficace. Gli alunni possono quindi ricorrere a computer dotati di software didattici con modalità di lettura agevolate, correttori automatici, libri digitali, ma anche a metodi di studio compensativi come tabelle riassuntive, mappe concettuali e una pianificazione ben distribuita di interrogazioni, verifiche e un carico più leggero dei compiti a casa, questo perché questi ragazzi hanno bisogno di molto più tempo per svolgere tali attività.

Tutti strumenti impiegati al Centro educativo Up-prendo, della onlus Effatà, che dal 2004 lavora insieme ai bambini con Dsa delle scuole primarie e secondarie (di primo e secondo grado), in convenzione con l’Unione Terre d’Argine. Si tratta del primo centro educativo specifico nato in Italia che si propone di favorire l’autonomia dei ragazzi attraverso ausili didattici e piani di studio personalizzati, ma anche aiutarli a raggiungere il benessere psico-fisico con attività ludico-ricreative e percorsi di gruppo. Al momento, il centro segue circa 150 ragazzi, che accolgono nelle sedi di Carpi, Campogalliano e Soliera e ogni educatore è in grado di seguire 3-4 alunni ciascuno.

«Al nostro centro ogni ragazzo ha a disposizione strumenti informatici e non per un supporto efficace alla didattica – spiega Niccolò Rovatti, educatore del centro –: ognuno di loro ha una personale postazione informatica dotata di software compensativi specifici che gli consente di lavorare sul materiale didattico. L’utilizzo dell’informatica è fondamentale – spiega ancora Rovatti –: offre una concreta possibilità per i ragazzi di diventare autonomi. L’impiego del computer, dello scanner e di software didattici, permette al ragazzo, attraverso la sintesi vocale, di leggere un testo utilizzando il canale uditivo, piuttosto che la lettura tradizionale. La possibilità di trasferire con facilità i testi nel computer consente di rendere fruibile materiale che altrimenti sarebbe di difficile accessibilità. Il computer rende autonomo il ragazzo con Dsa – continua –, perché gli consente, oltre che di leggere, anche di produrre testi e costruirsi strumenti utili e durevoli. In questo modo diventa protagonista del proprio apprendimento aumentando la consapevolezza rispetto alle proprie capacità».

Difficoltà in classe 

La presenza di alunni Dsa e Bes in classe può però creare difficoltà, causando un rallentamento del programma scolastico e l’esigenza di preparare compiti e verifiche diverse per ogni ragazzo, tanto che alcuni insegnanti lamentano difficoltà nel gestire tali situazioni: «Gli strumenti compensativi e dispensativi, di cui possono usufruire i ragazzi, non sono da considerarsi facilitazioni, ma modalità differenti, necessarie per permettere un adeguato apprendimento – spiega la dottoressa Avanzi –. Infatti, l’utilizzo di tali metodi, non è semplice e immediato. Richiede un adeguato tempo di conoscenza e utilizzo, per diventare efficace. I casi in cui si evidenzia un minor impegno da parte dei bambini e ragazzi sono legati a vissuti scolastici fallimentari, che spesso sono presenti prima di una chiara definizione diagnostica».

Alunni stranieri

Un ulteriore ostacolo si presenta per le famiglie straniere. Qui, alle difficoltà legate al disturbo, si vanno ad aggiungere barriere linguistiche e culturali. «In questi casi diagnosticare un disturbo dell’apprendimento è più difficile perché prima di tutto è necessario capire se le difficoltà del bambino sono dovute a uno svantaggio culturale o a un disturbo vero e proprio – spiega Paola Sacchetti –: se la famiglia si è trasferita da poco e il bambino è cresciuto in un altro paese, deve innanzi tutto superare il proprio gap linguistico, per questo necessita di più tempo per avere una carriera scolastica normale. Ci sono più variabili da considerare nella diagnosi». 

Da parte delle famiglie invece, la tendenza è quella di rivolgersi alle istituzioni pubbliche: «Le famiglie dei bambini stranieri, che spesso non padroneggiano in pieno la lingua italiana tendono ad affidarsi maggiormente alla scuola e ai servizi per ciò che riguarda l’istruzione dei propri figli – commenta Emma Avanzi –. Tale tendenza non è motivata da un disinteresse verso le difficoltà presenti, che sono riconosciute dai genitori stessi, ma da una fatica nella gestione e applicazione delle modalità di apprendimento consigliate».

Future possibilità

Negli ultimi anni comunque, di passi avanti ne sono stati fatti, soprattutto nel campo della diagnosi preventiva: riconoscere un disturbo dell’apprendimento il prima possibile, permette infatti di intervenire quanto prima sulle misure compensative da adottare, aiutando i ragazzi ad avere una carriera scolastica del tutto regolare e a valorizzare le proprie capacità e i propri talenti. Nell’ambito della ricerca, il mondo accademico sta lavorando proprio su questo: «Stiamo valutando con alcuni dipartimenti dell’Università di Bologna, un lavoro sperimentale su test di screening da sottoporre ai bambini nelle scuole d’infanzia – spiega ancora Sacchetti – e stiamo collaborando con la ricerca che si occupa della realizzazione di test rivolti specificatamente ai bambini stranieri».

Nelle foto, Paola Sacchetti e gli educatori di Up-Prendo

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