Il calvario di una ventiseienne con disturbi alimentari per trovare aiuto

«Mi chiamo I.Z., sono una ragazza di 26 anni che vive a Carpi, ho un lavoro, una vita che mi appaga, sono una ragazza normalissima che ha solo voglia di vivere e mettersi in gioco, all'apparenza va tutto bene, se non fosse che soffro di un disturbo alimentare».

Inizia così il racconto di I., che racconta quanto sia difficile farsi aiutare dal Servizio Sanitario Nazionale quando si ha uno dei disturbi alimentari che purtroppo colpiscono molti giovani, soprattutto le ragazze. «Da anni combatto con questo disturbo, che condiziona la mia vita e le mie giornate sin da quando avevo 16-17 anni. Molti giovani non riescono ad accettare l’anoressia o la bulimia, se ne vergognano. Solo in età adulta riesci a distinguere il problema e chiedere aiuto, ma se quando decidi di farlo non trovi un supporto dall’altra parte diventa difficile. Io non mangiavo più, poi per fortuna mi sono ripresa grazie all’aiuto di psicologi che mi sono pagata da sola. Ma è un anno che chiedo supporto alla sanità pubblica e non ho riscontri».

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I. racconta come il suo bussare alle porte dell’ospedale abbia portato solo a qualche appuntamento preliminare e poi ad un vicolo cieco: «Dopo circa 6 mesi dalla mia prima richiesta ho avuto il primo colloquio con lo psicologo dell’ospedale di Carpi, il quale dopo tre incontri mi ha detto che non poteva più seguirmi e che mi avrebbe mandato in una struttura apposita, il Centro dei Disturbi Alimentari presso l’ospedale di Mirandola – racconta la ventiseienne –. Oggi, sette mesi dopo, non ho ancora visto in faccia nessuno, ho solo sentito queste persone al telefono due volte, poi sono stata abbandonata. La risposta è sempre la stessa: le tempistiche purtroppo sono queste. Io riesco a pagare uno psicologo privato ma ci sono tante persone che non hanno questa possibilità e la sofferenza che si priva non è solo mentale ma anche fisica. Io sono "abbastanza forte" per poter gestire forse tutto questo e aspettare, ma ci sono altre ragazze che soffrono in silenzio per questo disturbo, che sono più fragili, che non possono permettersi tutto questo tempo. Il mio desiderio è quello di dar voce a tutte le ragazze che come me soffrono di Dca (disturbi del comportamento alimentare, ndr), dar voce a tutte quelle persone che stanno in silenzio per la vergogna, che pensano che solo in solitudine si possa guarire. Vorrei raccontare quanto ancora ad oggi questo argomento è poco considerato e poco sensibilizzato, vorrei che i tempi di attesa non fossero così folli nella sanità mentale».