Una ricerca di Elena Bandieri sulle cure palliative precoci sfata il tabù del parlare di morte con i pazienti oncologici gravi

Sfatare il tabù della morte in ambito oncologico, dimostrando che l’accesso a cure palliative precoci, accompagnate da un’adeguata comunicazione medico-paziente, migliora sensibilmente l’accettazione del fine vita nei pazienti con tumore in stato avanzato e nei loro caregiver. Non ha precedenti, sia per il tema trattato che per i risultati raggiunti, lo studio pubblicato di recente su The Oncologist, prestigiosa rivista scientifica internazionale, e condotto da professionisti dell’Azienda USL di Modena, dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena e dell’Università di Modena e Reggio Emilia, con la collaborazione di alcuni dei massimi esperti internazionali del settore.

La ricerca, di cui è principale firmataria la dottoressa Elena Bandieri (nella foto), responsabile dell’ambulatorio delle cure palliative precoci all’Ospedale Ramazzini di Carpi, chiude idealmente una quadrilogia di studi dedicati alla comunicazione medico-paziente-caregiver nel setting delle cure palliative precoci. Alle prime due, una incentrata sull’eradicazione del dolore come premessa all’accettazione della diagnosi e l’altra sulla speranza, ne ha fatto seguito una terza, anch’essa recente, pubblicata su Frontiers in Oncology, che indaga il tema del senso di gratitudine di pazienti e famigliari.

Per il quarto studio, intitolato “Percezione della morte tra pazienti con cancro avanzato in cure palliative precoci e loro famigliari: risultati di un’analisi a metodo misto”, sono state eseguite analisi qualitative e quantitative su due database: le trascrizioni di questionari a risposta aperta effettuati da 130 pazienti oncologici (con un’età media di circa 68 anni) seguiti dall’ambulatorio delle cure palliative precoci della dottoressa Bandieri, e testi raccolti da un forum italiano con le interazioni mediate dal web tra pazienti in terapia oncologica standard e i loro caregiver.

L’analisi quantitativa ha rivelato che pazienti e operatori sanitari che rientrano nel setting di cure palliative precoci non hanno paura a parlare di morte. In questo gruppo la parola “morte” viene usata in maniera significativamente maggiore rispetto ai pazienti in terapia con approcci standard e ai loro caregiver, e gli aggettivi e i verbi associati alla parola “morte” hanno connotazioni positive. Connotazioni positive che l’analisi qualitativa ha dimostrato riferirsi a un’esperienza reale e positiva del fine vita nel gruppo che ha avuto accesso precoce alle cure palliative, mentre nel gruppo in terapia standard rimandano a un desiderio o un evento negato.

Lo studio, originale e indipendente, porta le firme di figure di primo piano, anche di livello internazionale, tra cui il professor Eduardo Bruera, oncologo medico e palliativista all’Anderson Cancer Center di Houston, Texas (Usa), considerato il massimo esperto del settore, e la professoressa Camilla Zimmermann, dell’Università di Toronto (Canada), esperta riconosciuta a livello mondiale nell’ambito della comunicazione medico-paziente per quanto riguarda le cure palliative precoci. Inoltre, il gruppo di ricerca interaziendale ha visto il contributo di diversi specialisti modenesi, come il dottor Fabrizio Artioli, Direttore della Struttura Complessa di Medicina Oncologica di Area Nord; la dottoressa Katia Cagossi, responsabile della Breast Unit dell’Azienda USL di Modena; il professor Mario Luppi e il professor Leonardo Potenza, della Cattedra e Struttura Complessa di Ematologia di Aou e Unimore; e il professor Carlo Adolfo Porro, Professore Ordinario di Fisiologia e Magnifico Rettore di Unimore.

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“In conclusione, questo studio dimostra come gli interventi di cure palliative precoci – spiega la dottoressa Bandieri –, insieme a un’adeguata comunicazione medico-paziente, possono essere associati a una maggiore accettazione della morte nei pazienti con cancro avanzato e nei loro caregiver. Gli oncologi sono spesso preoccupati di parlare di morte con i loro pazienti, perché pensano che possa ostacolare la loro relazione, tuttavia le opinioni dei pazienti sul tema non erano state studiate a fondo. Con questa ricerca auspichiamo di avere aperto una breccia sull’argomento, facendo riflettere sul fatto che parlare di morte non solo non è vietato, anzi, se inserito nell’approccio di cure palliative precoci e accompagnato da una buona comunicazione, può essere determinante nel migliorare la percezione e l’accettazione del fine vita”.

“Questo studio – conclude il dottor Fabio Gilioli, Direttore del Dipartimento di Medicina Interna e Riabilitazione, tra i principali firmatari dello studio sulla gratitudine – evidenzia l’elevata competenza dei professionisti dell’Ausl di Modena, le cui qualità non si mostrano solo in ambito clinico ma anche nel campo della ricerca, i cui vantaggi si misurano da un punto di vista sia strettamente scientifico sia socio-economico. Voglio sottolineare come il Dipartimento di Medicina Interna e Riabilitazione si stia adoperando da alcuni mesi per favorire idee e progettualità in tale ambito. Colgo l’occasione per ringraziare la dottoressa Elena Bandieri, prima firmataria del lavoro, e tutti i componenti della Struttura Complessa di Medicina Oncologica di Area Nord diretta dal dottor Fabrizio Artioli”.