Polo universitario nell'oltreferrovia: la scommessa, il rischio e la solita Carpi scettica

Stando alla prevalenza dei commenti sui social, che non rappresentano – sia ben chiaro – l'opinione pubblica nel suo complesso, si dovrebbe desumere che l'avvio del corso di laurea in Ingegneria industriale sostenibile stia sullo stomaco a più d'uno. Sarcasmo, scetticismo, addirittura accenti improntati all'imbarazzo o allo schifo sono i toni che si colgono più di frequente. Quasi che ci fosse un pezzo di città, ovviamente non quantificabile, che se ne sta con i fucili puntati in attesa speranzosa che l'operazione fallisca, nella polvere di un fragoroso crollo dal quale poter lanciare gli scontati "Vedete? Noi lo avevamo detto”. Ora, nessuno si nasconde i rischi che l'esperimento comporta, la grande scommessa che Comune, UniMoRe e soprattutto la Fondazione guidata da Mario Arturo Ascari, sul percorso avviato, non dimentichiamolo, anche da Corrado Faglioni, hanno accettato di giocarsi. Ma proprio agli scettici e ai sarcastici verrebbe da chiedere: voi che non perdete occasione di sottolineare il declino di Carpi, lo spegnersi dalla sua imprenditorialità, il tessile ridotto al lumicino, la scomparsa di locomotive trainanti dello sviluppo, l'adagiarsi rassegnato della città nell'invecchiamento anagrafico e delle volontà: ecco, voi vedete per caso qualche altro tentativo in atto di invertire la tendenza? Di lanciare segnali di un futuro possibile? Non si era detto che, dovendo ripartire da un grado quasi zero, Carpi ha bisogno prima di tutto di teste, cervelli e cultura? E a che cosa serve, se non a questo, un corso di laurea che non si sovrappone, ma si distingue dai numerosi altri di Ingegneria e che parla trasversalmente a una quantità di settori produttivi? Certo, non sarà un corso professionale al quale le aziende vanno ad attingere già dal terzo anno futuri periti e operai specializzati: ma, oltre a fornire una nuova figura di Ingegnere, ne potrebbero uscire stimoli imprenditoriali, idee di impresa da far attecchire proprio qui. segue

 

Qualcuno obietta: per preparare cervelli non occorre alzare muri. E rispuntano i temi dei costi, del consumo di suolo e dell'oltreferrovia urbanizzato. Stabilito che l'Università di Modena e Reggio, al pari dell'Alma Mater di Bologna, si muove nell'ottica non di un centro ma di un territorio universitario e che la sollecitazione di aprire a Carpi l'ha subito accolta, non c'era migliore soluzione – basta recarsi oggi sulla banchina della stazione dalla quale la scritta UniMoRe è ben visibile – che un insediamento a ridosso dei binari, per il più facile e veloce (quando va bene, ovviamente...) dei collegamenti con Modena. Già, ma esisteva il Consorzio: non si poteva farla lì, la sede universitaria? Forse basterebbe il ricordo delle condizioni di rudere alle quali era ridotto il vecchio complesso per rendersi conto dei costi di una siffatta opera di recupero. E vediamoli, allora, i costi della nuova costruzione. L'investimento preso di mira dagli scettico-critici è considerato in blocco: 21 milioni. Che coraggio, da parte di qualche organo di stampa a tirarlo finalmente fuori, ha commentato uno, complimentandosi. Ma la cifra è stata comunicata ufficialmente, senza problemi. E si compone di 15 milioni per l'edificio e le adiacenze e di 6 milioni spalmati su dodici anni di avviamento. Certo che è tanto, ma dividere 21 milioni per 40 preiscrizioni – che poi magari la selezione farà ancora diminuire – e ricavarne che ogni studente costerà 525 mila euro è un giochino demagogico troppo facile, eseguito con l'ottica del contabile non dell'investimento.

 

 

Affiorano, si diceva, anche le critiche ambientaliste, con più di una nostalgia per il Parco Lama e la via Corbolani “sacrificata” (via che altro non era che un residuo della Alghisi, tagliata dai binari nel 1872, fatto proseguire artificialmente e in spregio alla centuriazione verso la Cavata). Non ricordiamo altrettanta attenzione per le sorti del Parco Lama quando – era il 5 agosto 2013 – venne approvato il piano particolareggiato per il comparto C6 portato in Consiglio dall'allora assessore Simone Tosi. Era il piano che decretava la fine del Parco Lama nella sua concezione originaria e tutti – partiti e associazioni ambientaliste – finsero di accontentarsi del vago impegno chiesto alla Cmb, e mai attuato, di spostare entro sette anni i volumi residenziali previsti sulla Corbolani in altra parte del territorio. Cancellarlo, quel piano, e ricondurlo a terreno agricolo, sarebbe costato al Comune qualche milione (si parlò di tre) di Ici da rifondere a Cmb. Che, viste anche le tensioni riaccese allo scadere dei sette anni senza che nulla fosse accaduto non esitò un attimo a sbarazzarsi del comparto C6, inclusa la volumetria costruttiva cui dava diritto. La nuova proprietà di Parma, cedendo alla Fondazione CR Carpi l'area necessaria, ha permesso che il polo universitario trovasse posto nella sede più idonea, creando anche le condizioni per una futura trasformazione di tutta l'area di archeologia industriale a ridosso dei binari, come è avvenuto a Modena e Reggio Emilia. Le spese di urbanizzazione primaria del comparto, inclusi gli allacciamenti per le residenze preesistenti sulla Corbolani, sono ricadute sul privato che ha così concorso anche alla trasformazione dell'area di cessione nel parco progettato dall'architetto Mario Cucinella. Il parco si profila come il segmento che congiungerà l'aperta campagna all'area boschiva sorta intorno al vecchio Consorzio e alla futura area di cessione del vicino comparto C5: un cannocchiale verde di 100mila metri quadrati complessivi fra la città e i campi coltivati che arrivano al cavo Lama. Il corridoio sarà chiuso, a nord, dalla nuova urbanizzazione già approvata dall'Amministrazione, che prevede villette e condomini, imperniati su un centro direzionale che si sono già potuti vedere nei rendering. Nuove costruzioni, certo: ma occorre ripetere qui la frase di Keynes per la quale non esistono pasti gratuiti?    

C'è un problema, questo sì: la povertà dell'accesso ciclopedonale ricavato prolungando il sottopasso dei binari e che per la prima volta congiungerà direttamente il centro all'oltreferrovia. Tutti abbiamo presente quel che si è fatto a Parma, dove sotto la stazione è stata ricavata addirittura una sorta di piazza che la fa apparire sospesa nel vuoto. La soluzione di Carpi è stata chiaramente condizionata dalle poche risorse a disposizione del Comune mentre Rfi, nonostante i miliardi ricevuti del Pnrr, qui non ha messo un centesimo, accollandosi il solo progetto. Ma, forse per responsabilità della stessa Amministrazione che non ha saputo comunicare e coinvolgere, non c'è stata la fila di imprenditori pronti a dare una mano, consapevoli dell'importanza della partita che Carpi va a giocarsi nell'oltreferrovia. Sta tutta qui la differenza dall'eroica Carpi degli anni Sessanta che, per dare sostanza al settore tessile, investiva nel Vallauri e nel Meucci. Guarda caso, anche qui nelle teste, nei cervelli e nella cultura.