Carpi plastic free, di Elisa Paltrinieri

Tutte le microplastiche che indossiamo dalle scarpe ai tessuti

Anche i nostri abiti contribuiscono all’inquinamento da microplastica dei mari. Siamo vestiti di plastica da quando vennero inventati prima, a partire dalla Seconda guerra mondiale, il nylon e poi, dagli anni Settanta, il poliestere: il 63 per cento della produzione tessile globale è composto da derivati del petrolio dalle sneakers ai giubbotti imbottiti, dalla biancheria intima ai costumi. Il successo delle fibre sintetiche nel settore dell’abbigliamento è dovuto alle loro caratteristiche intrinseche che sono diventate per noi irrinunciabili come resistenza, colori brillanti, elasticità e convenienza. Però ogni volta che laviamo questi capi, vengono rilasciate particelle di plastica talmente piccole (si stima che in media un tessuto sintetico perda 1,7 grammi di microfibre a ogni lavaggio) da non essere intercettate dai filtri delle lavatrici, finendo così nelle acque reflue e successivamente nei fiumi e nei mari. Alcune aziende lavorano già da tempo su soluzioni alternative come Aquafil, una ditta tessile di Trento che si è specializzata nella produzione di econylon, un filato rigenerato di alta qualità ottenuto dalla lavorazione delle reti da pesca abbandonate e delle moquette usate. Ma il riciclaggio della plastica nel settore tessile è ancora una procedura complessa e poco diffusa, quindi, in attesa che qualcosa cambi a livello produttivo, c’è chi sta adottando altre strategie almeno per prolungare la vita dei capi, come per esempio proporne il riciclo, cosa che anche a Carpi si fa. Il brand low cost italiano Terranova del gruppo Teddy ha promosso la campagna “Terranova supports Zambia”, mettendo a disposizione una ecobox in cui i clienti possono portare capi usati di qualsiasi marca e in qualsiasi stato: oltre a riconoscere buoni d’acquisto per ogni cinque capi, quelli così raccolti vengono consegnati all’associazione Humana People To People per sostenere progetti in favore delle popolazioni dello Zambia. L’azienda italiana di biancheria intima Intimissimi del gruppo Calzedonia con la campagna “Ricicliamo e supervalutiamo il tuo usato” e la società italiana di abbigliamento Oviesse con “OVS ricicla i tuoi abiti usati” raccolgono anch’esse capi usati di ogni marca e in ogni stato a fronte dei quali riconoscono dei buoni per poi consegnarli però a I:CO, leader mondiale nel riciclo dei prodotti tessili dai tessuti alla scarpe. I capi raccolti vengono sottoposti a una cernita e a un’ulteriore lavorazione: se ancora indossabili, gli indumenti vengono trattati in modo che sia possibile riproporli sul mercato come abiti di seconda mano altrimenti, in base al loro stato, vengono lavorati per ottenere nuove fibre tessili oppure triturati per produrre isolanti per l’industria automobilistica o edile.

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