Il mio scontro con un canforo, Diario minimo del 3 ottobre

Vi sembrerà superficiale, ma il momento più doloroso, nella mia 25ennale carriera di dendronauta, non è stato quando ho saputo che il meraviglioso cipresso del Kashmir dell’Isola madre (lago Maggiore) era stato divelto da una tromba d’aria. No. il momento più doloroso è stato diciannove anni fa, nell’agosto del 2000, proprio all’isola Madre e pochi istanti dopo aver visto quell’incredibile cipresso, allora ancora perfettamente integro. Mentre eravamo in mezzo al lago, sul battello che ci avrebbe portato all’Isola, il cielo si fece pi. scuro della faccia di Salvini quando incrocia Di Maio e si scatenò l’inferno: vento e fulmini paurosi, sembrava il set de La tempesta perfetta, con George Clooney. Un capriccio della natura che, per fortuna, durò solo pochi minuti e fu seguito da un meraviglioso sole, caldo e scintillante, che illuminava le goccioline d’acqua sulle foglie, rendendo quel giardino, di per sé pittoresco, un luogo d’incanto. Passare, nel giro di un quarto d’ora, da una violentissima tromba d’aria alla sinfonia di colori e profumi di quel piccolo paradiso galleggiante, ve lo assicuro, è una sensazione stranissima, che ha del miracoloso: un po’ come vedere il Pd al governo. E quando, sul retro della villa, mi trovai a tu per tu con l’opulenta chioma del leggendario cipresso del Kashmir, rimasi immobile, paralizzato dalla bellezza travolgente della sua architettura. Ancora ammaliato dalla sontuosa eleganza del cipressone, probabilmente l’albero pi. spettacolare che abbia mai visto, mi sono avvicinato a un altro gigante arboreo, un colossale esemplare di canforo di oltre ducento anni d’età, con un piede radicale troppo invitante per non montarci sopra: peccato che il tronco, ancora fradicio di pioggia, fosse più scivoloso di una saponetta e, non appena ho appoggiato le mie snikers sul costolone per iniziare un’improbabile scalata, ci sia stramazzato sopra, come un sacco di patate. Risultato: frattura di tre cappuccetti vertebrali e sei ore al pronto soccorso, fortunatamente allietate da una sexyinfermiera piemontese, i cui ripetuti passaggi avevano l’effetto di un potente antidolorifico. Seguì una terribile notte insonne, in uno squallido alberghetto di Gallarate. Un po’ per la provocante silhouette dell’infermiera, che ancora aleggiava su di me; ma soprattutto per il panico che mi aveva preso come Greta Thunberg davanti a un iceberg che si scioglie: avevo un terribile mal di schiena e il giorno dopo, io che non avevo mai volato, ero atteso da un viaggio di 16 ore per San Francisco.

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