Adolescenti di origine straniera: il gruppo fa la forza, ma non l'integrazione

Non c'è bisogno che si tramuti in fatti di nera, risse o aggressioni o peggio, per riconoscere che il fenomeno dei gruppi di adolescenti chiamiamoli così “inquieti” a Carpi esiste. Ed esiste ovunque: a Modena, come a Bologna e Reggio Emilia, per restare dalle nostre parti. Le chiamano anche baby-gang (foto di repertorio). Il che sembra voler rappresentare già una predestinazione al reato e non è giusto: il disturbo, il fastidio, la sensazione di degrado e i timori che possono trasmettere in chi li osserva o vi transita accanto o ci convive nelle strade e nelle piazze non sono necessariamente frutto di reati. Qualche volta, tuttavia, si arriva anche a questo. E' da un po' che non se ne sente parlare, di aggressioni o risse fra bande giovanili, ma proprio per questo, a bocce ferme, è opportuno discuterne. segue

 

Al netto delle nostre considerazioni da boomer del tipo "le bande di ragazzi ci sono sempre state, ricordate i teddy boys anni Cinquanta, le cinghiate e le sassate che ci si scambiava nei dintorni di Quartirolo o alla canalina dopo la Cagnola, i leader scavezzacollo, i lanci di fango contro le case in costruzione in via Berengario, eccetera”: ecco, al netto di tutto questo che è proprio di ogni generazione, va riconosciuto che un dato di originalità esiste. E richiama inevitabilmente gli adolescenti di origine straniera. Quelli, per intenderci, residenti da noi fin da piccoli se non addirittura nati qui, le cui famiglie si mantengono rigidamente fedeli ai propri usi e, saldamente ancorate all'abitazione o al luogo di culto, non vivono la città, se non per il lavoro o le commissioni indispensabili. I loro figli 13/18enni no: crescono in una condizione ibrida, dove alle rigidezza di lingua, costumi, religione familiari si contrappongono la scuola, la vivacità delle compagnie, l'attrazione delle cose che fanno moda fra i ragazzi e senza le quali ci si sente a un gradino inferiore della scala sociale, il taglio dei capelli, la brillantezza delle vetrine, il centro vissuto come palcoscenico, perché qui tutto acquista significato e visibilità oltre a trasmettere un senso di padronanza – ben diverso dall'appartenenza – che non ti dà certo il quartiere periferico dove abiti normalmente. E quindi, i soldi, gli oggetti griffati, il bisogno esteso fino all'appropriazione purchessia. Il gruppo, poi, fa la forza: nel gruppo anche una condizione svantaggiata iniziale può rovesciarsi a tuo favore, fino a prenderti la rivincita sui compagni di classe più agiati, più fortunati e più...bianchi.

 

Se non si punta l'attenzione su questo, che altro non è che il fuoco che ha incendiato le banlieue parigine, Carpi rischia molto, in futuro. Con la differenza che in Francia, dove l'immigrazione è secolare, la rivolta si è manifestata soprattutto nei suoi tratti sociali e rivendicativi. Qui da noi, dove tutto si è concentrato nell'ultimo ventennio, potrebbe assumere anche pericolosi connotati etnici e alzare i muri dell'estraneità, piuttosto che percorrere le strade dell'integrazione. Scordiamoci la città racchiusa nella propria “carpigianità”, dove nulla di grave può avvenire perché, parafrasando Longanesi, “...ci si conosce tutti”. Senza scomodare fatti clamorosi avvenuti in passato e di recente, c'è un mondo giovanile di nuovi carpigiani che ribolle e che, come si diceva una volta, vive la contraddizione più di ogni altro strato sociale. E' ad esso che va rivolta una particolare attenzione: soprattutto recuperando e incoraggiando le forme spontanee di aggregazione, a partire da quelle sportive o comunque di scopo, che non siano quelle istintive del gruppo selvaggio ma canalizzino in altre direzioni più socialmente accettabili la loro carica di energia. Per non scomodare altri mezzi, più impegnativi, che richiamano le leggi, qui basterebbe assegnare dei ruoli pubblici, delle responsabilità volontarie ai leader riconosciuti, incentivare gli impianti liberi, reimmettere nella società la forza coesiva un tempo espressa dalle parrocchie, meno dalle case del popolo e oggi solo dallo scoutismo. L'integrazione, è il caso di ricordarlo, passa per le nuove generazioni: è una partita che si decide qui.