E se al posto delle farfalle si usasse la poesia?

Almeno, gli ombrelli e i pesci di Simone Morelli si vedevano... Così qualcuno, con il naso all'insù, commentava qualche giorno fa le installazioni farfallesche di corso Alberto Pio, costate all'Amministrazione 16 mila 400 euro. Ma non sono tanto i costi, il problema, quanto questo ricalcare un déjà vu, pensato da altri per altri tempi, in altri modi e per altri spazi (allora era via Paolo Guaitoli, con l'effetto salotto garantito dalle dimensioni raccolte). Colpisce, insomma, questa paurosa mancanza di immaginazione, fra l'altro impiegata per valorizzare – si fa per dire – il solo asse stradale del centro che non ne ha bisogno. (segue)

 

E allora il pensiero corre, per mesto e avvilente paragone, a quelle città che hanno invece avuto l'ardire, la passione, il senso orgoglioso e autoironico di sé di collocarle, le installazioni, anche luminose, certo. Riproducendo però frammenti letterari o di canzoni, scelti per celebrare un artista del posto e insieme scandire, percorrendo le vie del centro, anche un poco della propria identità. L'ha fatto Bologna, con brani da Lucio Dalla e Raffaella Carrà; l'ha fatto Ravenna, con versi di Dante. Solo a volerlo, Carpi disporrebbe di una ricca offerta. Basterebbe riprodurre lo strepitoso incipit di Pier Vittorio Tondelli “Ah, i Carpigiani, una ne fanno e mille ne strolgano, dannati loro”, prelevato dal racconto A Karpi! A Karpi!. E che dire di un Antonio Delfini che ci definiva “...falsi innamorati della vita che intendono comechessia farsi la vita e l'avvenire col bagno, l'automobile, le troie e i gioielli”? C'è poi la splendida fotografia letteraria delle mura scattata da Arturo Loria: “Il quadrilatero delle mura rossastre macchiate largamente d'edere e di capperi ricascanti si specchiava nel fosso pigro che agli speroni angolari cambiava l'acqua, spartita dalla gran prora di pietra: qua ferma, là increspata di vento fino al termine del rettifilo”.

E poi le donne di Carpi, ritratte da Mario Stermieri:

“Passan leggere come bianche fate

con la stanèla alzèda fin ai znòcc

brune fanciulle bionde e innamorate

inziperièdi finn deintr in di òcc

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Passan leggere e io ripenso intanto

al pòvri dònn ch'lavòren tutt al dè

e quasi quasi mi commuovo al pianto

in dal pinsèr che al mònd l'è fat acsè”.

E c'è quell'indimenticabile passaggio di Ermanno Sueri nella prefazione alla sua Divina Catarsi: “A me non va di lasciare Carpi: ci soffro così bene, ormai, che è diventato un piacere l'abitarvi”. C'è solo l'imbarazzo della scelta, insomma, per un arredo urbano affidato alla prosa e alle poesie che parlano della città, a chi ci abita e a chi semplicemente vi fosse di passaggio. E invece qui si va a farfalle a noleggio: “Ecco, io ritorno nel nulla”, scriveva Alberto Fumagalli, poeta maledetto, prima di andarsene nel 1994.