Il dibattito sul nuovo ospedale e la vocazione di Carpi a farsi del male

Sulla tolda del Titanic c'era l'orchestrina che suonava, ma nelle cabine c'era anche chi si sparava un colpo alla tempia. A questo fanno pensare le uscite recenti sul nuovo ospedale, che vedono un fronte variegato di politici, organi d'informazione, attivisti dei social, accarezzati da settori dell'opinione pubblica, compattarsi intorno a varie ipotesi, tutte comunque orientate a declassare Carpi nel sistema sanitario, a partire da un sostanziale no a un nuovo ospedale.

 

Chi è sceso in campo contro il consumo di suolo previsto dalla futura localizzazione. Chi si schiera per l'ipotesi baricentrica con l'Area Nord (per la verità un tantino attenuata). Chi ritiene che ormai Carpi sia fagocitata dal sistema metropolitano modenese (che dispone, oltre che di due ospedali e dell'università, addirittura, udite udite, di una Prefettura...). Chi guarda dall'alto in basso la nozione stessa di ospedale, per anteporvi una visione della sanità futura tutta territorio e assistenza domiciliare, per effetto della più o meno prossima trasformazione di Carpi in un unico, grande cronicario.

 

L'autolesionismo del quale riesce talvolta a dar prova questa città ha davvero dell'incredibile. Soprattutto quando arriva a stabilire una maliziosa relazione tra le falle rivelate nella gestione della pandemia da parte del Ramazzini con la conseguente, asserita superfluità della struttura ospedaliera: quasi che analoghi problemi non si siano verificati in tutti gli ospedali, a partire da quelli, come il Ramazzini, la cui stessa vetustà – impiantistica, logistica, nell'organizzazione degli ambienti – ha impedito di affrontare al meglio il problema.

 

Si potrà discutere all'infinito sul modo di concepire, oggi, una moderna e aggiornata struttura ospedaliera che, in virtù dei progressi e dell'innovazione tecnologica, sia sempre più luogo di diagnosi e terapia e sempre meno struttura di degenza; se debba essere verticale od orizzontale, a padiglioni o compatta... Non siamo esperti della materia, ma anche dalle risultanze del convegno promosso nel novembre 2019 dalle liste civiche di Carpi e Novi sul futuro del sistema sanitario del territorio, non una sola voce si è levata per contrapporre questa nuova visione della funzione ospedaliera all'opportunità che comunque un presidio ospedaliero serve per un servizio sanitario efficiente sul territorio. E serve anche a una medicina territoriale, ramificata e diffusa: una cosa non esclude l'altra, anzi, una cosa non può esistere senza l'altra. Tutt'al più si tratterà di stabilire quale sia il rapporto giusto tra il tipo di ospedale e la dimensione del territorio servito: ed è questo il compito della pianificazione sanitaria. Ed è sempre questo il motivo che fa ritenere semplicemente assurda, per Carpi, l'opzione di un “...grande e qualificato centro di primo soccorso, mentre del resto delle patologie si potrebbero far carico le strutture modenesi”. Negando con questo a Carpi – ma non a Sassuolo, per esempio – perfino la dignità di costituire un territorio sanitario, con tutto il movimento che comporta e tutte le relative ricadute economiche e sociali. E proprio mentre ci si chiede se la scelta di integrare Baggiovara nell'Hub per il Covid non finisca per depotenziare il Ramazzini, allontanandone il personale più qualificato. Ma che cosa si vuole, alla fine?

 

Il rischio del depotenziamento – ed è l'obiezione che viene invece da muovere ai sostenitori di un rifacimento del Ramazzini dov'è ora – ci sarebbe, e molto concreto, in caso di spostamenti "provvisori” di intere specialità e reparti a Modena, per permettere i lavori sulla struttura esistente, in un contesto logistico molto complicato. Certe provvisorietà, lo sappiamo bene, in ambito sanitario finiscono per diventare eterne.

 

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