Riflessione sul caso di un nostro titolo preso di mira perché, nella rassegna degli articoli dei quotidiani che riportavano la notizia di un cittadino originario del Marocco e domiciliato a Carpi, arrestato per atti osceni su un bus a Rimini, si è semplificato, definendolo “di Carpi”. Abbiamo dovuto correggere con un “residente a Carpi”, perché subissati dalle reazioni inviperite di quanti non si davano pace per quello che ritenevano un abuso di cittadinanza, concessa a un soggetto simile, per di più straniero (o forse perché concessa a uno straniero, per di più un soggetto simile...). Ebbene, non sospettavamo che sui social, dove si sprecano le critiche a Carpi sporca, degradata, “che non è più quella di una volta”, che fa schifo, che è diventata insicura e invivibile, eccetera, fosse così vivo il sentimento dello ius sanguinis, dell'appartenenza orgogliosa alla categoria dei “Carpigiani doc”, come ha scritto qualcuno. Fino a definire quel "di Carpi” attribuito al marocchino residente come “un insulto ai veri Carpigiani” (autore: Mauro Ascari). Per cui, a parità di residenza, la qualifica “di Carpi”, a questo punto, stando a nostri arrabbiatissimi critici (un tal Matteo Bigi ha scritto che non si sorprenderebbe se in redazione qualcuno di noi si chiamasse Mohammed...), non potrà essere rilasciata a nessuno che non si chiami Lugli, Bulgarelli, Righi, Pedretti o Lamma (continua a leggere)
Sì, perché ci sono decine di Cantalupo, Esposito, Giocolano, De Minico, Russo, Palumbo, Sorrentino, Minichiello, Santoro che a Carpi sono venuti a risiedere, lavorare, aprire attività chi dieci, chi venti, chi addirittura mezzo secolo fa: augurandoci che non diventino mai protagonisti di cronache sfortunate, dovremo introdurre anche per loro il distinguo tra "residente a Carpi” e "di Carpi”, separandoli dal trattamento dei loro figli e nipoti, nati invece qui? Lo stesso discorso varrebbe per gli Iqbal, i Malik, gli Hussain, gli Hayat e perfino i Mohammed (guarda un po') che non dispongono di altrettanta anzianità di residenza, ma che qui sono arrivati e lavorano e hanno figli e nipoti, chi già da dieci o vent'anni. Anche per loro – questa volta in estensione a figli e nipoti, immaginiamo – dovremo continuare a scrivere per l'eternità “residente a Carpi” e non “di Carpi” per non urtare la sensibilità dei famosi “Carpigiani Doc”. I quali ultimi, va precisato, non sarebbero esenti da critiche e accuse e magari denunce e arresti, solo perché insigniti della qualifica “di Carpi” separata dal “residente a Carpi”, secondo la distinzione che tanto li gratifica, li consola e li fa sentire migliori. Dipenderà esclusivamente dai comportamenti: sono quelli a fare la vera differenza. E a giudicare da certe parole in libertà colte nei commenti, qualche "Carpigiano doc”, ipocrita al punto da nascondere dietro l'orgoglio di campanile quelli che sono semplicemente intolleranza e pregiudizio, dovrebbe pure provare un po' di vergogna.