Quell'umore nero della città su università, risse e discount alimentari

Saranno i tempi, con i loro venti di guerra, le ombre che si addensano sul futuro, i timori per una botta generalizzata ai livelli di vita e ai redditi familiari. sarà per i postumi di un Covid che sembra non finire mai. Sarà come sarà: ma di rado ci è capitato di cogliere dosi così massicce di negatività come quelle che si intravedono a Carpi in questi giorni dai commenti sui social, anche per vicende che in apparenza c'entrano nulla con le questioni citate. Questioni che tutto sommato un certo malumore lo giustificano, ma non si capisce perché debbano costituire un filtro nero, nerissimo, per valutare tutto quanto sta avvenendo in città.

 

La posa della prima pietra per la futura università, per esempio. Sui social si sono espressi più i critici che i favorevoli e un esempio ne è anche la lettera dell'ex docente che pubblichiamo oggi. Nessuno ha effettuato sondaggi che autorizzino a sostenere che la bocciatura dell'iniziativa sia maggioranza o che la città sia del tutto indifferente. Quello che si vede, tuttavia, va proprio in questa direzione. E allora viene da chiedersi perché. Perché un'operazione pensata al futuro viene da subito considerata perdente? Perché questo scetticismo preventivo che arriva ad appiattire l'iniziativa al suo solo risvolto immobiliare, quasi che questo fosse il fine e non un mezzo? Esiste qualche altra via per destinare risorse della Fondazione dirette a rilanciare lo sviluppo che non sia investire sulle teste e sulla formazione? Proviamo a individuarle, le possibili alternative. Finanziare, in forma di partecipazione, le imprese trainanti, ammesso che l'Ente possa farlo? Ma dove sono, queste imprese, visto che, tranne poche, virtuose eccezioni, la massima aspirazione dei vertici aziendal-familiari dalle nostre parti è quella di cedere tutto a un fondo di investimento? Elargire risorse su bandi e progetti imprenditoriali? Ma la Fondazione, vale la pena ripeterlo, non è una banca, né avrebbe la struttura per comportarsi come tale sul piano delle due diligence e dei controlli di efficacia. Resta, certo, il sostegno ai problemi sociali e alle strutture sanitarie: ma questi sono rimedi, non incentivi; suppliscono all'assenza di lavoro, non a crearlo. Ecco allora che investire sulle teste non è poi così fuori dal mondo ed è un azzardo tollerabile, sempre che l'Università sia brava a proporre un corso innovativo e di eccellenza che privilegi non tanto i singoli saperi e le specializzazioni, ma la "matrice” che tutti li contiene e li anticipa.

Altra fonte di malumore: tutti a commentare negativamente l'apertura di un centro commerciale di vicinato, accomunando in un'unica condanna – ce ne sono troppi, a Carpi non mangiamo più che da altre parti, basta, a che cosa servono – le piccole, le medie e le grandi superfici di vendita. E sottovalutando il fatto che la scelta di piccoli centri di vicinato che non superano i 250 metri comincia a profilarsi come alternativa proprio ai criticatissimi supermercati posti sulle grandi vie di comunicazione che comportano spostamenti in automobile. Perché allora la città dovrebbe essere danneggiata dall'apertura di nuovi punti vendita in centro storico o comunque nel tessuto urbano? Esistono molte alternative, in fatto di rete commerciale al dettaglio? Perché prendersela tanto se una superficie di 250 metri, anziché restare buia e polverosa perché sfitta per anni, riprende vita con un discount alimentare?

 

 

Resta infine la cronaca nera. Scoppia una rissa a colpi di bastoni e coltelli, addirittura un machete in via Ugo Da Carpi ed è subito un coro sul degrado della città, venato di accenti anti stranieri. Ma che cosa si credeva? Che una città che ha subito una fortissima mutazione antropologica, non solo con l'immigrazione straniera, ma anche dal Meridione d'Italia, mantenesse lo stesso clima di appartenenza, la stessa forza identitaria e coesiva di venti o trent'anni fa che ne facevano una sorta di famiglia allargata? Che non potesse essere coinvolta nei fenomeni degenerativi che caratterizzano tutte le aree urbane, a partire dalle medie dimensioni? E in fatto di rimedi, si potrà discutere all'infinito di forze di polizia insufficienti, di Polizia locale che potrebbe essere gestita meglio, ma prevenire il disagio e le sue conseguenze richiede tempi lunghi e non lo si può invocare solo al momento in cui i fatti si verificano. Né serve molto prendersela con le politiche di accoglienza, che qualcuno considera più generose a Carpi che altrove: la gente si sposta e trova modo di insediarsi dove c'è attrattività, servizi, casa, lavoro. Questo, di una comunità locale sempre meno locale, familiare e conosciuta, sempre più multiculturale, multilinguistica, percorsa da tensioni e contraddizioni e perfino meno conosciuta e riconoscibile è comunque il dato con il quale confrontarsi qui e ora: e non è necessariamente un dato solo negativo. Poi, deposti gli occhiali del bicchiere mezzo pieno che troppo spesso indossano le istituzioni, servirà maggiore severità, potenziare il Commissariato, avere più vigili in strada, chiedere più spesso i documenti, illuminare gli angoli bui, chiamare a rapporto le famiglie dei minori irrequieti, disporre di maggiori pattuglie notturne, contare sulla certezza delle pene, sanzionare i comportamenti scorretti nei parchi e negli spazi pubblici secondo il regolamento di polizia urbana. Ma sarà utile anche rendersi conto e accettare che la convivenza senza attriti è un esperimento che funziona solo nei gabinetti scientifici.