La classe dirigente

Parla di una campagna presidenziale “bassa e impaurita”, Michele Serra, a proposito della sorda contesa per l'ascesa al Colle, “...in un Paese che può vantare un solo uomo da onorare, Mario Draghi, e uno solo da evitare, Silvio Berlusconi”. E questo sull'abbrivio di un ragionamento circa l'assenza di una classe dirigente avviato dal vecchio Rino Formica, per dire che non è concepibile che uno Stato popolato da sessanta milioni di abitanti, “...con una storia politica importante e una struttura economica fra le più notevoli al mondo, dipenda da un nome soltanto”. Con un centro destra inchiodato alla “vecchiezza” non solo anagrafica del suo fondatore e un centrosinistra che, senza Draghi, “...pare incapace di pensiero proprio e di una propria proposta”.

Tutto questo condurrebbe a qualche considerazione anche sul locale, alla luce di due dati di fatto. Il primo: a metà del secondo mandato del “suo” Sindaco, il Pd – e il centro sinistra carpigiano nel suo insieme – non sembra essere ancora riuscito a collocare sui blocchi di partenza il futuro candidato o la futura candidata. Rientrerà pure nelle vecchie “cerimonie” dalle quali il neo segretario provinciale del Pd, Roberto Solomita, intende liberare il partito: ma l'individuazione del successore del Sindaco in carica in genere avveniva con largo anticipo sulla scadenza, quanto meno per conferire visibilità e legittimazione alla scelta, che fosse diretta o filtrata da “primarie” più o meno autentiche. Se qualche nome circola è più in virtù di logiche di genere (del tipo: tocca a una donna, e giù a setacciare tutti i nomi delle papabili) o per esclusione o ancora per comprovate doti amministrative, quando in due soli casi su sette – Claudio Bergianti e Alberto Bellelli – è accaduto che il candidato venisse designato fra membri della Giunta e non dal gruppo consiliare. E' un segno, anche sui territori, di quello che Serra definisce "deficit della politica e dei suoi primi attori che sono i partiti”.

Passa da qui, ma non solo da qui, anche il secondo dato di fatto, vale a dire l'analogo problema che si riscontra per il rinnovo del vertice della Fondazione Cassa Risparmio Carpi. Dove, stando alle cronache, si registrerebbe, per un verso, l'agitarsi di una camarilla dei fedelissimi del vescovo emerito, Francesco Cavina, protagonista del precedente avvicendamento generatosi nel Consiglio di Indirizzo, che avrebbe già espresso per la Presidenza dell'Ente il nome del commercialista Federico Cattini; e, sul versante opposto, la certezza del controllo del medesimo Consiglio da parte dei Sindaci, senza peraltro disporre finora della figura che lo esprimerebbe. Da una parte, diciamo il centrodestra moderato e geloso custode dell'autonomia di palazzo Brusati, ci sarebbe un candidato senza i voti; dall'altra, vale a dire i governanti di centrosinistra che molto si aspettano invece dal supporto dell'Ente, ci sarebbero i voti senza un candidato.

Conclusione: in fatto di classe dirigente cittadina, politica, professionale o imprenditoriale che sia, Carpi non è messa meglio di Roma. Pochi dubbi che la crisi di quella politica sia in buona parte da far risalire alla scomparsa dei partiti e ai loro meccanismi formativi e selettivi. E' il fenomeno che spiega la politica appiattita sul marketing e la comunicazione, sugli annunci come sull'annusare gli umori dei social e assecondarli, fino a trasformarla in un permanente ufficio stampa. Più complesso è il ragionamento per il deserto di classe dirigente imprenditoriale o professionale. Esiste, per essa, anche il problema antico del far convivere il lavoro con l'impegno in un ruolo pubblico. Ma è innegabile che nel suo ritrarsi si rifletta anche la crisi più ampia dell'economia e della società cittadine, l'assenza di personalità portatrici di visioni, di luoghi in cui esse si possano confrontare, perfino di stimoli, concordi, ma anche antagonistici o alternativi, rispetto agli indirizzi delle istituzioni che governano il territorio. Erano forze imprenditoriali quelle che nel 1967 il parlamentare democristiano Vittorino Carra riuscì a coalizzare intorno al progetto dell'Ente sociale John Fitzgerald Kennedy, centro aggregativo pensato per sottrarre i giovani all'egemonia culturale del Partito comunista. Ed erano le stesse che nel 1959 avevano dato vita all'Aia, l'Associazione degli industriali dell'abbigliamento, e che si muovevano sull'abbrivio di un protagonismo, di una voglia di contare nella vita della città, basata anche sulla battaglia contro l'inquadramento del lavoro a domicilio, di cui ora non c'è traccia. Prova ne sia che anche i sodalizi di tradizionale riferimento – Lions e Rotary – trovano molte difficoltà a ringiovanire i ranghi. Che cosa serve per uscire da questa sorta di paralisi che rischia di mettere in circolo una classe dirigente necessariamente composta per lo più da pensionati, dipendenti di enti pubblici, ex di tante battaglie, figure senza storia o che di storia alle spalle ne hanno fin troppa? Preparazione, cultura, senso di appartenenza, con un buon tocco di ambizione, certo. Ma se quest'ultima è una dote naturale, le altre tre non si vede chi possa dispensarle, nella Carpi di oggi.