Quelle proteste per i nuovi supermercati

I dati sono lì a confermarlo: il commercio al dettaglio perde sempre più colpi, quello dei generi non alimentari più ancora degli alimentari, mentre decollano le vendite nei discount, negli iper e nei supermercati. La tendenza risale a prima del Covid: la pandemia non ha fatto altro che accentuarla. Ma allora, perché ogni volta che si dà notizia dell'apertura di un nuovo supermercato o discount alimentare parte invariabilmente sui social il coro delle proteste? “Non ne avevamo davvero bisogno” "Un altro? Ma basta...”, “A Carpi non moriremo certo di fame”, “Continua la piega involutiva di questa città”, “Ma non sanno fare altri che aprire supermercati”, “Basta supermercati, più di tanto non si può mangiare”: questo il tenore prevalente dei commenti che hanno accompagnato la notizia dell'approdo in città, precisamente all'ex maglificio Molly, del discount alimentare Penny Market. “Vorranno farci diventare tutti obesi”, arriva a scrivere una commentatrice, quasi che qualcuno la obbligasse, ogni volta che apre un supermercato, ad entrarvi e ad abbuffarsi di spesa. Senonché la folla, in prevalenza femminile, da cui partono questi commenti, si riforma puntualmente all'inaugurazione dei nuovi punti vendita  e ne alimenta – se non sempre, quasi sempre – il successo confermato dalle statistiche. Senza contare che si tratta di imprese private, attuate a rischio soltanto di chi vi investe e che non sottraggono niente alla dimensione pubblica né vanno a detrimento degli spazi sociali e culturali o dei punti di ritrovo per i ragazzi: tutti investimenti che molti vorrebbero in alternativa, ma che evidentemente non trovano la stessa convenienza. Ma in questo caso, la colpa di chi è?