Sono nato nel 1925. Come stalla per i bovini che aspettavano di essere caricati sul treno: per quello mi sistemarono a due passi dalla ferrovia. Mi disegnò l’ingegner Domenico Malaguti, che di cose ne ha fatte, a Carpi, in 33 anni da ingegnere comunale: tutte le scuole elementari di campagna, il Pallamaglio, la torre dell’acquedotto, lo stadio, un pezzo del Ramazzini, tante delle villette dell’area Pallotti, la cappella del cimitero, il primo asilo comunale, per citarne solo alcune. E il Foro Boario, con dentro il sottoscritto in qualità di stalla: un uso del quale non mi vergogno affatto, visto quel che è accaduto dopo. Bei tempi, quelli: Malaguti, che era di Bologna e in Comune ci è entrato nel 1920, ha lavorato per Carpi prima, durante e subito dopo il Fascio, fino al 1953, quando se n’è andato in pensione. Erano tempi in cui le cose si facevano, a Carpi: sullo spazio ottenuto qualche anno prima demolendo le mura e che arrivava fino alla linea ferroviaria c’era la pressione delle industrie e dei servizi legati all’agricoltura, come le cantine, l’oleificio Ferrari, il macello e il mercato bestiame. Per non parlare di quello strano quartiere chiuso dalla semicurva del viale Focherini che poi, se le cose fossero andate come avrebbe voluto Malaguti con i suoi piani di risanamento ed espansione la curva sarebbe stata completata con un viale di ritorno parallelo a quell’altro. Poi mi hanno lasciato lì, finita la funzione, addio organo. Quanti saranno stati, quaranta, cinquant’anni? Non mi ricordo più: so solo che ero diventato inutile, un fossile del primo Novecento condannato a morire e perché il nuovo secolo e il nuovo millennio non sapevano onestamente che farsene di me. Sono diventato una “testimonianza di architettura industriale” come si usa dire, con tanto di tutela della Soprintendenza: guai a toccarmi, insomma. Ma credo che quel non toccarmi fosse più per una ragione di soldi che non c’erano, piuttosto che di rispetto. Sospetto anche che abbia giocato la mancanza di idee. Tanto è vero che quando qualcuno ne ha buttata lì una, verso il 2004, qualche cosa ha cominciato a muoversi. Vuoi perché Carpi aveva cominciato a incapricciarsi del turismo; vuoi perché non c’erano tutti i bed&breakfast e gli Air B&B di oggi né un modo di accogliere a buon prezzo i giovani che sono poi quelli che inventano i posti e li fanno diventare di moda; vuoi infine perché a Carpi funziona sempre lo spirito emulativo, per cui “...ma come, Correggio ce l’ha e noi no?”. Fatto sta che a qualcuno è venuto in mente di trasformarmi in Ostello della Gioventù.
13 Maggio 2020
Requiem per un Ostello, Filo di Voce
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