Si è astenuta l'identità protestataria antisistema

La battuta della vignetta di Giannelli sul Corriere di oggi (“Battuti i sovranisti”, dice l'uomo che sfoglia il giornale su una panchina. “Il popolo sovrano è restato a casa”, gli replica una signora seduta lì accanto) esprime in modo mirabilmente sintetico il senso dell'ultima tornata amministrativa. C'è un'altissima percentuale di astenuti che, a giudicare da chi ha perduto più voti, cioè Lega e Cinque Stelle, si direbbe appartenere a quella vasta area fluttuante e inquieta dell'elettorato che ha premiato entrambi, in passato. Salvo ricavarne una non comune quota di delusione, alla prova delle loro rispettive esperienze di governo. Con una differenza: che la Lega le prove di governo le ha sapute superare in tanta parte del Nord, dove amministra molti comuni, mentre al Sud, dove è partito d'opinione, arretra pesantemente. I Cinque stelle perdono ovunque, invece, perché le prove del governo li hanno privati dell'identità protestataria antisistema che li teneva uniti. E ora non sanno più chi sono. Eccola qui, l'area dell'astensione: gli orfani di identità protestataria antisitema, appunto, che identificano un bel po' dell'elettorato di Lega e Cinque Stelle (segue sotto).

Quell'elettorato fluttuante e volubile lo si vuol definire “sovranista”, ma è una definizione riduttiva, schematica, da giornali, appunto. Andrebbe più parametrato su profili come l'insofferenza per la defatigante prassi della politica e dell'amministrazione (sono state elezioni comunali, non dimentichiamolo), il rifiuto della complessità e, all'opposto, il culto della facilità sbrigativa, il cedimento all'illusione miracolistica ventilata dal leader provvidenziale di turno, si chiami Berlusconi (quello di una volta, padre di tutti i populismi), Renzi, Salvini e oggi Meloni. Il tutto da mettere in relazione, invece, con problemi reali che sono la disgregazione del mercato del lavoro, l'incipiente inflazione che accorcia salari e pensioni, il futuro immaginato a fosche tinte per figli e nipoti, il senso mortificante di inefficienza dello Stato per quello che riguarda sanità, scuola e welfare in generale, il degrado che si respira in vaste aree del tessuto urbano. Non è ben chiaro che cosa vi sia di “sovranista” in quanti avvertono sulla loro pelle questi problemi, rispetto ai quali la scelta dei Sindaci slitta molto in basso in una graduatoria ideale di desideri, bisogni e aspettative. Forse ha senso solo come contrapposizione all'immigrato vissuto come quello che viene a contendere lavoro, spazi e servizi, impoverendo ceti sociali autoctoni. Ma anche questo parrebbe un tema in disuso, visto che, a parità di flussi migratori, neppure Salvini lo ha cavalcato, preferendo buttarsi su green pass e aperture. E allora chiamiamola con il suo vero nome, questa area dell'identità protestataria antisistema: che è quello di “populismo”, una zona dell'elettorato che si è astenuta, ma non è affatto scomparsa. Sempre lì, pronta a premiare il prossimo leader o movimento che asseconderà le sue aspettative del qui e ora e a cominciare a castigarlo da un minuto dopo la sua vittoria, perché i miracoli, nella realtà e fuori dai social, non li fa nessuno.

 

Passare dal “che cosa” sia questo ampio mondo di astenuti al “chi” è arduo, e si capirà meglio nei prossimi giorni. Si dice coincida con le periferie dove le astensioni hanno raggiunto picchi altissimi. Ma è accaduto lo stesso in alcune sezioni centrali anche di Bologna e Milano, mentre il contrario si è verificato in quella dei Parioli, a Roma, nettamente sopra la media dei votanti della città, abbassata nettamente, invece, da quartieri come Tor Bella Monaca, Primavalle, eccetera. Per dire che l'identità protestataria antisistema non è solo questione di confini territoriali e sociali, ma è un sedimento culturale che alligna in profondità, accomunando ceti molto diversi e che è all'origine del  prevalente sentimento di destra che scorre come un fiume sotterraneo nelle viscere profonde del Paese.