Un rischio di bla bla bla anche per Greta Thunberg

Anche gli studenti del Sessantotto, al fondo della cui protesta c'era la totale incapacità delle Università italiane di far fronte alla dimensione di massa assunta con la liberalizzazione degli accessi e gli assegni di studio, avrebbero potuto accusare di bla bla bla una classe politica che parlava molto, preoccupata com'era dalla saldatura con le manifestazioni operaie, ma concludeva ben poco. E pure le irrequietudini studentesche del 1977 avrebbero potuto accusare di bla bla bla la politica, le organizzazioni sindacali e le stesse formazioni dell'ultrasinistra sorte dieci anni prima, per la loro insensibilità ai temi dei diritti civili, al movimento femminista e alle istanze di controcultura partite dalle aule universitarie e dalle radio libere. Chi avrebbe avuto più diritto, poi, di evocare il bla bla bla delle forze politiche dei militanti dei social forum dei primi anni Duemila, bastonati al G8 di Genova? (segue)

Per dire, in sostanza, che stando ai precedenti, anche il vasto movimento planetario sollevato dai temi del cambiamento climatico rischia di restare al di qua della barriera del bla bla bla, se non uscirà dalla condizione di protesta per farsi invece politica inserendosi attivamente nelle articolazioni delle diverse società per conquistare posizioni prioritarie nelle attenzioni dei partiti o facendosi partito esso stesso. Come in qualche modo è avvenuto per i movimenti citati. Se la Francia è nuclearista, nella ricerca di fonti energetiche alternative a quelle fossili, e la Germania no, è perché qui i Verdi hanno acquisito una forza politica decisiva. Se alcune istanze ambientaliste hanno potuto prendere cittadinanza nel dibattito politico italiano questo si deve anche ai Cinque Stelle, lasciando stare per un attimo le loro successive pratiche di gestione del potere.

Le condizioni del pianeta, in parallelo con il loro aggravarsi, parrebbero paradossalmente aver sortito invece l'effetto opposto: di radicalizzare la lotta per la sua salvaguardia, tornando a relegarla a vasto movimento d'opinione, universale quanto incapace di operare nel concreto, e riportandone le ragioni di fondo fuori dall'azione dei governi. Con la conseguenza di sottovalutare l'importanza dei piccoli passi, dei compromessi ottenuti anche da Cop26, del contenimento dei gradi di crescita del riscaldamento rosicchiato grazie a faticose mediazioni fra governi che debbono confrontarsi non solo con la ragion di Stato o con i rispettivi “poteri forti”, ma anche con i comportamenti e le abitudini delle comunità che sono poi formate da singoli: in pratica, da ciascuno di noi. Sul Foglio, il direttore Claudio Cerasa ha riassunto in un concetto il suo giudizio su Cop 26: “Meno ideologia, più privati. Meno isterismo, più gradualità. La transizione del futuro è tutta qui”. Al di fuori di questo, il bla bla bla rischia di diventare quello di Greta Thunberg.