C’era comunità in quei palazzi, In cornice del 29 agosto

Che vergogna, non mi ricordo il nome, il nome del palazzo, eppure lo sapevo, ma ho paura di dire una sciocchezza che chissà che cosa mi dicono. Si tratta del palazzo di corso Fanti (nella foto), quello quasi di fronte alla chiesa, Santa Chiara. Palazzo grandioso di recente messo a posto. Io lo ricordo quando era un paese vivo di molte vite, una città abitata da famiglie diverse in tempi diversi. Queste dimore erano e sono difficili per tante ragioni: la manutenzione, le belle arti, le tasse, gli spazi non adeguati, l’impossibilità di piegarsi alle esigenze attuali. Ce ne sono tanti, parlano di storia e di preziosità, fanno l’atmosfera della città, le danno il tono, restano a metà tra la bellezza, la storia e la disgrazia di non poterli fare sfruttare se non con grandi impegni finanziari. Questo: le grandi colonne l’entrata maestosa, il giardino nascosto, la corte per le carrozze. A me sembra di ricordare che lì ci abitò anche la zia Irene appena sposata in uno dei tanti quartieri a fianco allo scalone monumentale che, ogni volta che ci salivo mi immaginavo in un altro tempo. Abitava al piano nobile una signorina diafana alta e bionda che era la proprietaria. Ci abitava anche una signora alla quale la gente portava i gattini per farli sopprimere, al piano terra all’altezza del grande cortile, cosa incredibile oggi. Ma su, in una mansarda da favola, a metà tra la gatta sul tetto che scotta e il duetto di Mimi, ci stava la Zoe, là dove le finestre erano rotonde dal sapore settecentesco e gli spazi abbondanti, sprecati, freddi d’inverno e caldi d’estate.