La vita nello smartphone, In cornice

Io ho vergogna. Vergogna che quando lui entra nella stanza e mi trova col telefono in mano e io leggo nella sua mente le parole non dette: “Sei sempre lì attaccata”. Sì, spesso. E se fossi nei miei nipoti avrei i tempi contingentati, il divieto di certe operazioni, la sorveglianza dei contenuti. Invece sono autonoma. Non guardo siti porno anche se qualche immagine di donna discinta compare. Che ci faccio? Telefono poco, ma i social, maledetti, tanto. Guardo se, per caso, ci fosse mai qualche novità su facebook, se qualcuno dei miei gruppi comunica. C’è quello della palestra che vorrebbe che io facessi allenamento da casa, mi mandano il video di quello che devo fare con un elastico o con i pesi sostituiti dalle bottiglie di acqua. C’è quello della classe, le ritrovate dal tempo della scuola delle suore, danno notizie sul mondo intero: da Roma impressioni di alta cultura, dalla Calabria incendi dolosi, da Milano solo saluti. Sparse per il mondo. Poi ci sono le pittrici: facciamo un acquerello al giorno con un tema definito e lo mettiamo su. Bellissimo. Bravissime. C è il progetto Erostraniero che tiene viva la volontà di riprendere i corsi per le donne straniere per imparare l’Italiano, per imparare a cucire. Tutto bello e tutto lodevole a parte il fatto, e mi vergogno, che ogni tanto guardo lo schiaccia brufoli.

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