Non so che cosa vorrei che ritornasse del Natale passato, di quello di quando c'erano quelli che non ci sono più. Che fosse per felicità e non per nostalgia triste, che fosse per ricordo che vuole tenere in vita e non per perdita. Così si comincia.L'albero prima di tutto, quello che occupa tutto il corridoio e si permette di chiudere la porta in fondo. Quello spennato che è comperato da Frateschi e rimpinguato dalle frasche del giardino. Poi le luci, mai tutte a posto, da controllare passo passo, filo per filo, nastro nero per ogni spellatura. Poi le palle. Non quelle di plastica comperate dai cinesi, quelle di vetro, delicate e sbeccate, fragili e preziose, colorate e piene di porporina, con l'attaccaglia che salta via e il filetto di ferro da infilare tra gli aghi. (segue)
L'albero, il presepe, la tavola e la stufa del Natale di ieri
E il puntale, quello con la sua scatola e la scala che serve per metterlo su. E tutti i fili che vanno a finire alla presa più vicina, quella del bagno che poi non si può nemmeno andarci. E i Babbo Natale di cioccolata avvolti nella cartina colorata che non si sapeva a che punto si poteva cominciare a mangiarne uno. E lo stupore e pure l'orgoglio di mostrarlo che non tutti potevano avere un albero cme quello con le luci di molti colori, l'intermittenza e il corto circuito in agguato e i pacchetti quasi finti o di poco conto e nessuna foto che si potesse fare che non c'erano cellulari e il telefono era nero con la rotella appoggiato sulla mensola di fianco alla porta d'ingresso. E poi la cena, quella con la tavola allungata e qualche parente in più. La pancetta arrotolata con l'insalata russa fatta in casa e dopo il dolce amore nella sua terrina di vetro rosso e il vino, semplice lambrusco e la tovaglia consunta di rosso che è andato verso il giallo, ma di fiandra coi suoi tovaglioli grandi e pesanti, stanchi di troppi bucati fatti anche senza lavatrice, ma bolliti di cenere e sbattimenti. Di regali finti e cose fatte a mano dalla Biancamaria, borsellini e pochette di poco conto. (segue)
Ma anche cioccolatini che venivano da Genova e per questo sembravano più buoni, panettone Tre Marie come cosa preziosa e non offerta da supermercato. E di là il presepio, quello grande, di fantasia col laghetto di acqua vera i sentieri di farina aspettando che padre Angelo Tonini venisse a fare visita per la gara mai vinta. E il freddo appena mitigato dalla stufa rossa con lo sportello di ghisa. E i piatti belli vecchi e sbeccati da lavare a mano. E il profumo di mia madre che aveva fatto sosta lunga in bagno con la lavanda Atkinson regalata da tempo. Nessuno diceva “buon Natale” che, si sapeva che così era.
IN CORNICE DI ROSELLA TAGLIAVINI
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