Le sorelle Grillenzoni

Il giorno della festa della donna ho pensato a loro. E, siccome vado anche sempre a guardare le foto di D’Orazi su Facebook, che fa la collezione di scatti rari del passato, allora mi è venuta una associazione. Ho, mentalmente, messo in comunicazione le donne del mio passato con le foto che loro avrebbero visto, scelto, conservato. Le donne sono loro, le tre sorelle Grillenzoni, la Marta, la Claudia, la Nella che, tutte, sono state mie madri, per pezzi di anima, quelli più ricchi e persistenti e non solo zie. Se mia madre avesse dovuto scegliere una foto da portarsi dietro nell’eternità sarebbe stata quella della piazza e del portico. Perché, passare di lì, era rito, esigenza, gioia. Prima per andare al negozio Slanzi, pompe per irrigazione agricola del nonno attraverso i ciottoli di fiume che sbucciavano i tacchi e davano all’andatura incerta qualcosa di sensuale, poi, e sempre, per andare a messa a mezzogiorno in Duomo o a prendere un aperitivo alla Romana in estate, da Gianni, oppure per fare un acquisto di lavoro alla casa del bottone, al Magazzeno comunale dalla Tisbe o dalle sorelle Tassi per i colli di pelliccia. O, anche, ritirare una crema alla lanolina confezionata per lei alla farmacia Spaggiari. 

Credo che la ordinasse per telefono quando i numeri erano così corti che era facile tenerli a mente. La crema era densa e appiccicosa e lei se la spalmava con attenzione sul décolleté e sul collo con movimenti giusti, dopo aver fatto il bagno settimanale o prima di andare alla festa degli alpini su, alla palestra del castello. Una volta l’anno, solo. Lenti movimenti finché era assorbita bene e non avrebbe unto il busto che si sarebbe messa e avrebbe fatto solo brillare la scollatura sempre ben tenuta. Mia madre, il portico, lo sapeva tutto anche perché andava molto piano con i piedi che le facevano male. Passare sotto al portico richiedeva una preparazione lunga e accurata che non si andava lì per caso e senza aver indossato l’abito giusto. Che, anzi, indossare un abito nuovo non era il caso se non per farsi un giro di portico che fosse di domenica o, addirittura di Pasqua per lo spianno di primavera. La zia Claudia, invece, sceglierebbe una foto dei cinema del centro, di dentro e di fuori, con le noccioline sul banchetto, i cartelloni di fianco che neanche guardava prima di entrare come se, per lei, andare al cine al Fanti prima del periodo porno, al Super, al Moderno, fosse come adesso cambiare i canali. 

Dopo si vede. Tanto li facevamo tutti uno dopo l’altro. Della Nella, invece, meno saprei, che lei era una che in giro non ci andava volentieri sempre intenta a qualche traffico che la faceva stare con le mani sporche di qualcosa e vestirsi per andare fuori era un peso. Forse lei era più per la periferia, quella delle casette anni Cinquanta venute su una accanto all’altra con le braccia di chi le sognava, il giardinetto di tre metri intorno e il sogno della proprietà. Se anche io posso scegliere una foto, di certo prendo quella dall’alto con il profilo del castello, della torre, e, possibilmente, anche delle cupole delle chiese per guardare lontano, lontano come se, in fondo si potesse vedere il mare e non solo il Cimone quando tira vento.

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