Nel collegio della paura

E' come se ci avessero messi in collegio. Come in collegio ci sono regole ferree, non si può, non si possono tante cose. Anche allora per il nostro bene di ragazze in formazione, di giovani donne che, se lasciate a se stesse, chissà che cosa potevano combinare. Forse, forse parlare con gli studenti di Medicina che abitavano all’ultimo piano del palazzo di fronte, forse comperare un gelato o guardarsi in giro. Non si poteva uscire da sole, come adesso. Non si poteva uscire senza una ragione specifica, come adesso. Ma adesso è peggio, non è solo questione di ubbidienza, ma anche di paura. Di qualcosa che si aggira invisibile e ti fa molto male. Così, chiusi dentro un ipotetico fortino di difesa protettiva, ci reinventiamo una vita diversa. Come se fossimo in galera senza neanche l’ora d’aria garantita. Sapremmo o sapremo inventare una vita completa? Molte risorse le abbiamo, il computer, la televisione, i libri, internet e i collegamenti in video, ma nulla ci aiuta a nasconderci a noi stessi. Per forza legati a meditazioni solitarie, come quelle che l’assistente spirituale ci induceva a percorrere. Legati a improvvisi esami di coscienza, come quelli della sera da bambina. Siamo scossi da bilanci, quasi automatici come se ci avessero messo un programma ad ogni chiusura di lavoro. O come un questionario da preparazione alla confessione. “Hai fatto del tuo meglio? Hai utilizzato le tue risorse per vivere al meglio per te e per gli altri? Hai qualcosa di cui chiedere perdono? Hai rimpianti da abbandonare? Hai avuto occhi attenti, occhi stupiti per guardare quello che ti era dato? Hai in mente tutto, tutto nella tua sensazione in modo che, quando mai avrai ancora una nuova occasione, non te la lascerai scappare o non la vivrai in modo superficiale e poco consapevole? 

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