Vita da alberi e alberi della vita, In cornice

Anche per gli alberi si fa il tifo. Che non devono essere abbattuti per timore che cadano, per pigrizia di cure e potature, per mancanza di riconoscenza per l’aiuto che danno alla salubrità dell’aria, al fresco del clima e anche alla bellezza. Gli alberi segnano, solo loro, il dimenticato scorrere delle stagioni. Già indicano che l’autunno è alle soglie, che, i tigli dei viali cominciano a far nevicare giù le foglie rosse e la gente inizia a soffiare inutilmente con quelle macchine infernali di qua e di là, senza soluzione, polvere, sassi, foglie a spasso sotto le macchine. Ma forse, per ciascuno di noi c’è un qualche albero della memoria, di alberi che non ci sono più, perché anche loro se ne vanno dopo tanto vegetare. C’era, nel giardino, un melo, ma molto contorto, come fosse un vecchio ulivo, con la corteccia scabra e squamosa come avesse una sua psoriasi. Aveva una biforcazione bassa, tanto che era facile salirci sopra anche per una bambina. Non produceva belle mele, ma frutti contorti e bitorzoluti, mai veramente maturi, forse erano cotogne o che so altro, nessuno si preoccupava del melo, nessuno lo irrorava di veleno e i frutti cadevano giù a marcire, ma il solo fatto che ci si poteva salire sopra a giocare fino ai rami più alti gli dava dignità e ragione di vita o solo il fatto che nessuno se ne occupava.

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