Fame d'aria, la lettura

FAME D’ARIA di Daniele Mencarelli.          Mondadori 2023

 

Pietro, un grafico di cinquant’anni che a prima vista sembra molto più giovane, sta viaggiando con il figlio Jacopo per stradine bianche, tornanti, colline lontane su cui si intravedono paesini come presepi. A un tratto però la frizione della vecchia Golf si rompe, lasciandoli in una strada deserta che sembra portare verso il nulla. Per fortuna passa di lì Oliviero, meccanico ora in pensione, con il suo carro attrezzi, che lega l’auto a una grossa catena e trasporta i due verso il suo paese, Sant’Anna del Sannio, un pugno di case con un unico bar e una farmacia, abitato quasi soltanto da anziani. Appena scendono dalla Golf che Oliviero proverà ad aggiustare, appare evidente che Jacopo, il bellissimo figlio diciassettenne di Pietro, ha qualcosa che non va: sta aggrappato al padre, cammina dondolandosi e sfregando le dita sulla coscia, ha gli occhi vuoti come quelli di una statua. Autismo a basso funzionamento, anzi, bassissimo, spiegherà secco e infastidito l’uomo a chi con delicatezza gli chiede che cos’ha il ragazzo. 

Cambiare la frizione in una macchina così vecchia non è cosa semplice: è venerdì, e anche con tutta la buona volontà è impossibile che i due possano ripartire prima del lunedì mattina. Pietro ha fretta, deve arrivare a tutti i costi a Marina di Ginosa, un paesino della Puglia dove li raggiungerà la moglie per festeggiare con i parenti i vent’anni di matrimonio: è costretto però a restare lì per il fine settimana e la proprietaria del bar, Agata, offre a padre e figlio una stanza al piano di sopra, dal momento che un tempo il bar era anche una pensione. In quei pochi giorni, in quel paese che sembra dimenticato dal mondo, la terribile e commovente tragedia che Pietro ha avuto in sorte raggiungerà il suo culmine: la grave disabilità di Jacopo, che da anni sconvolge l’esistenza soprattutto di Pietro, lo porterà a un livello di angoscia senza speranza, a cui la ruvida e materna Agata, il silenzioso e operoso Oliviero e il bellissimo sorriso di Gaia, una giovane donna tornata al paese per occuparsi della madre, proveranno inutilmente a dare conforto.

Questo ultimo romanzo di Daniele Mencarelli, di cui consiglio anche la vicenda autobiografica narrata in “Tutto chiede salvezza”, tratta in modo reale e senza pietismi cosa significhi avere un figlio affetto da una disabilità molto grave: lo scrittore riesce perfettamente, con un linguaggio essenziale, spesso crudo e disperato, a rendere il senso di frustrazione, di inadeguatezza, di rabbia nei confronti di quella che viene considerata un’ingiusta punizione, che porta a chiedersi continuamente, ogni giorno, ogni momento: perché proprio a me?

“Che se a ogni uomo e donna di questa terra dicessero quanto è difficile fare figli normali, nessuno ne farebbe più. Basta un niente, una proteina non assimilata, un enzima che non fa il suo lavoro. La normalità è come un biglietto della lotteria. Invece tutti pensano che sia naturale il contrario. Che un figlio è come un elettrodomestico, costruito per funzionare alla perfezione. Soltanto chi ci passa sa quante competenze ci vogliono per attraversare una strada, per prendere una penna in mano.”