di Evan S. Connell - Edizioni Einaudi 2016

Mrs Bridge

Evan S. Connell è un grande scrittore americano non molto conosciuto, che fu candidato al National Book Award nel 1959 proprio con il romanzo “Mrs Bridge” (e non vinse per un soffio, perché il premio andò a “Goodbye, Columbus” di Philip Roth) e nel 2009 fu insignito del Booker Prize alla carriera, iniziando a ricevere gli onori che gli spettavano soltanto negli ultimi anni della sua vita.

“Mrs Bridge” è un romanzo bellissimo, intenso, malinconico, che riesce a raccontare in modo asciutto ma profondo quella che era la vita di una famiglia borghese e benestante nell’America degli anni Trenta e Quaranta. India Bridge è una donna come tante: le sue buone maniere vengono prima di ogni cosa, pur senza ipocrisia né false coperture: ha il vestito adeguato a ogni occasione, educa in modo amorevole e secondo i costumi del tempo due figlie e un figlio che poi prenderanno strade completamente diverse, allontanandosi dai seminati e dalle attese della famiglia, sa essere sempre perfettamente politicamente corretta nei confronti del vicinato, delle amiche, delle coppie che lei e il marito frequentano. Ha un comportamento ineccepibile di fronte al pastore e ai suoi sermoni, a donne emancipate che parlano di argomenti che lei non conosce bene, persino di fronte al suicidio di un’amica riesce a non perdere la calma e l’eleganza che la contraddistinguono. Il marito, Walter Bridge, è un avvocato di successo, ma lavora dal mattino alla sera e non è quasi mai in casa: è un uomo tranquillo che riempie India di regali costosi, ma non è certo il tipo da manifestare affetto con parole o con discorsi e gesti affettuosi, cosa di cui la donna avrebbe forse bisogno, più che di una stupenda Lincoln o di una pelliccia d’ermellino o una collana di diamanti. 

La bella casa imponente, la stima di amici e conoscenti, la libertà di gestire tempo e giornate come più le aggrada non riescono però a lenire il vuoto e la malinconia che la signora Bridge sente dentro di sé: cerca di placare questa insoddisfazione di cui a tratti si vergogna con un corso di spagnolo, con una serie di lezioni di pittura, con la lettura di romanzi che le vengono consigliati e che in un primo momento sembrano avere fra le righe la chiave per risolvere le cose, ma nulla serve veramente e tutto viene prima o poi abbandonato. India Bridge è infelice senza sapere di esserlo e forse proprio in questo consiste quella sottile disperazione che anima i suoi gesti e i suoi pensieri e di cui il lettore si rende conto ben prima di lei.

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