Non esiste medicina territoriale senza Ospedale. Un intervento di Giorgio Verrini

Il Decreto ministeriale 71 appena approvato riguarda l’implementazione della medicina territoriale (più precisamente: “Modelli e standard per lo sviluppo dell'assistenza territoriale nel Servizio sanitario nazionale”) e dovrebbe  integrare il Decreto ministeriale 70 del 2015 su “Definizione degli standard qualitativi, strutturali, tencologici e quantitativi  relativi all'assistenza ospedaliera”. Per un reale miglioramento del Servizio sanitario nazionale occorre che si realizzino, integrandosi, i modelli e gli standard dei due decreti. Per meglio dire: non c‘è medicina territoriale senza un ospedale di riferimento che funzioni. Ma il Decreto 71 è tutto da verificare e il Decreto 70 deve essere modificato. 

Se infatti la recente pandemia ha fatto riscoprire la necessità di una medicina territoriale, dove il Medico di Medicina generale e l’infermiere di comunità sono gli artefici delle cosiddette cure primarie, ha altresì messo in evidenza  l’inadeguatezza del sistema Ospedale, già in difficoltà prima dell’“assalto” dei Covid positivi: già dal 2015 i posti letto in Ospedale sono apparsi inadeguati (3.7 posti letto per 1.000 abitanti, il più basso fra i paesi dell’Europa occidentale). E’ per questi numeri che i tempi di attesa per ricoveri e interventi chirurgici erano e sono sempre più lunghi. E allora, per risolvere in una eterna emergenza il problema, si ricorre alle esternalizzazioni, cioè a contratti con istituti e cliniche private. Il conto di queste convenzioni per il Servizio sanitario nazionale è di 34 miliardi di euro (fonte Anao).

Analoga è la causa che ha portato a scoppiare i Pronto Soccorso anche prima dell’inizio della pandemia: una insufficente azione dei Medici di Medicina generale ha condotto ad accessi impropri, ma una volta studiati dal  medico del Pronto Soccorso, i pazienti non possono essere inviati nei reparti con posti letto ridotti ex lege e quindi stazionano sulle barelle nei corridoi. E’ avvenuto e avviene, come manovra emergenziale, che si accorpino reparti per creare spazi (chiamati astanterie) che decongestionano il Pronto Soccorso e alleviano i disagi dei pazienti. Ma “la coperta” è comunque corta. E’ utile insistere sulla necessità di mettere mano al Decreto ministeriale 70 anche per capire come interagire con le nuove strutture sul territorio previste dal Decreto ministeriale 71 e cioè Case della Salute (nelle varie definizioni, ancora poco chiare, di Casa di Comunità, Ocso, Cot, eccetera) vere cerniere tra le Cure primarie (cioè i medici di base) e l’Ospedale. Dovrebbe funzionare così: in queste strutture territoriali, ormai molto numerose almeno in Emilia, il paziente verrà ricoverato a stabilizzazione avvenuta, cioè dopo che i Dipartimenti emergenza accettazione ospedalieri hanno gestito la fase acuta della malattia.  All’interno di queste strutture avverrà la presa in carico da parte del Medico di Medicina generale e dei suoi collaboratori fino al ritorno a casa del paziente o al successivo ricovero in Rsa o altre strutture per lungodegenti. Chi abiterà queste strutture territoriali? Sicuramente una forte componente infermieristica, accanto ad una componente medica con specializzazione in Medicina generale, ma anche una componente di personale amministrativo specializzato per il Servizio sanitario nazionale. Quest’ultima è una figura professionale già presente, ma che dovrà essere implementata in quanto essenziale per la Sanità di domani. Il suo compito sarà coadiuvare medici e infermieri nell’utilizzo dei nuovi mezzi tecnologici digitali o telematici e per gli adempimenti burocratici (cartella informatizzata, ricette elettroniche, certificati Inail, eccetera) previsti dalle normative vigenti. Questo non risolverà il problema della mancanza di personale medico e paramedico di cui tanto si discute in questi tempi, ma avere dei medici che fanno solo i medici perché liberati dal peso delle scartoffie significherà aumentarne l’efficienza e la soddisfazione personale.