Non tutti sanno che: 2 - Tra pubblico e privato, la politica sanitaria abbia coraggio e batta un colpo

di Giorgio Verrini*

La pandemia ha finalmente dato dignità e serietà al Distretto cioè alla medicina territoriale e il decreto ministeriale 71 ha le carte in regola per dare risposte alle cronicità, ai piccoli e grandi problemi sanitari di una popolazione che invecchia e che si sente più sola grazie alla istituzione di presidi extra ospedalieri dove operano i nedici di Medicina generale riuniti in équipe, ben supportati da tecnologie  diagnostiche di base e con l’ausilio di personale infermieristico competente. Vedremo se le risorse umane (che ancora per anni saranno poche) riusciranno a far funzionare quei presidi sanitari di prossimità (Case di Comunità e Ospedali di prossimità) che sono l’architrave di questo nuovo modello organizzativo.

Non ha le carte in regola invece  per mantenere le promesse di efficienza, rapidità di cura e sicurezza assistenziale il decreto ministeriale 70 (regolamento che definisce gli standard qualitativi, strutturali e tecnologici della assistenza ospedaliera dal 4 giugno 2015). Bisogna ammettere con onestà che i tempi di attesa per le visite specialistiche sono intollerabili, cosi come lo sono le carenze dei dipartimenti di urgenza (Pronto Soccorso) e dei  reparti chirurgici (compresa l’Ostetricia) e del dipartimento di Nefrologia e Dialisi Cercando con coraggio delle soluzioni che non siano solo tappabuchi, partiamo proprio dal Pronto Soccorso che per sua natura è una delle aree a maggior complessità dell’intero Ospedale su cui ricadono, nell'ordine: le conseguenze della riduzione dei posti letto di area medica (a iniziare dal 1999 con la riforma Bindi e nel 2010 grazie al Pal); quelle della non ancora attuata riforma della sanità territoriale con il Dm71; una fuga di medici e infermieri verso altri reparti o nosocomi. Le soluzioni sono: riconsiderare, aumentandolo, il numero di posti letto dell’area medica; accelerare l’attuazione del Dm71; una maggior valorizzazione economica del personale dell’Emergenza Urgenza (compreso il 118) allo scopo non solo di premiare un'attività oggettivamente difficile, ma anche pericolosa ed usurante.

Per quello che riguarda il problema di alcuni reparti di Ostetricia e dei relativi punti nascita tenuti aperti in deroga agli standard previsti dal Ministero della Salute, farei solo una domanda: ma il parto deve essere comodo o sicuro? Ovviamente deve essere sicuro e non lo può essere se la casistica è  ridottissima (un parto al giorno) in una struttura ospedaliera priva del reparto di Rianimazione e lontana da un Hub opportunamente attrezzato. La soluzione è politica (non per questo facile). Quanto al problema delle lunghe lista di attesa per la specialistica e per la terapia chirurgica (un intervento per ernia  prenotato oggi verrà eseguito tra un anno...) la soluzione è culturale oltre che politica. Ci vuole coraggio politico (soprattutto nella nostra Regione) per ammettere che per assicurare il diritto alla salute costituzionalmente garantito e buoni livelli di cura, il Servizio sanitario nazionale si avvale della collaborazione di oltre 570 cliniche private a cui afferiscono oltre un milione di cittadini all’anno (dati del 2019) sia per visite specialistiche che per trattamenti chirurgici. Quindi sorprende che ci si chieda se possa essere accettabile in ambito sanitario un precorso comune tra la componente pubblica (che gode ampio consenso) e la componente privata (vista in malo modo) quando nei fatti questo percorso esiste già. Il privato stipula accordi con la Regione e le Asl, deve garantire, per essere accreditato, gli stessi standard di sicurezza e qualità del pubblico, ed essere convenzionato per un certo numero di prestazioni: a tutti gli effetti il Servizio sanitario nazionale appalta o esternalizza prestazioni e servizi che non è in grado o non trova conveniente fornire direttamente.Quindi nessuna demonizzazione ideologica, ma una opportuna evoluzione verso una coesistenza strutturale e dialettica tra il pubblico ed il privato convenzionato che in estrema sintesi significa      “copiare” alcune soluzioni ritenute valide presenti nel privato (organizzazione del lavoro medico infermieristico, trattamento economico, flessibilità di orario, attività libero professionale, eccetera) e “concordare” alcuni aspetti dell'attività chirurgica in modo che i grossi Hub pubblici possano concentrarsi sulle patologie più impegnative (trapianti, oncologia, cardio e neurochirurgia, eccetera) rimettendo invece alle cliniche convenzionate interventi di minor complessità. Politica sanitaria, verrebbe da dire, se ci sei, se hai coraggio e la schiena dritta, batti un colpo...

* Medico del Ramazzini a riposo, delegato di Azione per la Sanità