Carri, rubrica Metacarpi di Voce del 7 marzo

Mica abbiamo dovuto attendere la vittoria  di Zingaretti, qui, per chiudere con il renzismo.  Prima ci siamo stipati tutti – consiglieri  regionali, assessori, parlamentari – sul carro  del leader fiorentino, facendone scivolar giù l’unico  che c’era fin dall’inizio. Poi abbiamo fatto posto a un  altro che, salito di controvoglia, ha finito per trovarsi  meglio di tutti, credendo davvero all’uomo solo  al comando, ai cerchi magici, al virile decisionismo  contrapposto alle timidezze e ai rovelli dei compagni  di strada nostalgici di Pierluigi Bersani. Gli abbiamo  lasciato costruire un suo personale palazzo del potere,  presidiato da fedelissimi a dispensare feste, intrattenimenti  e ottimismo senza badare a spese. Noi,  invece – consiglieri regionali, assessori, parlamentari  – colto al volo il mutar del vento, scendevamo intanto  uno dopo l’altro e zitti zitti dal carro. Finché ci è  rimasto solo lui, là sopra, ad agitarsi felicemente inconsapevole.  Proprio come Alibante da Toledo che,  pur affettato dalla Durlindana di Orlando, “...del colpo  non accorto, andava combattendo ed era morto”. 

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