Chernobyl

Trent’anni fa, il mondo conosceva la più grande tragedia legata al nucleare, dopo Hiroshima. Non si è mai saputo quante vittime abbia provocato l’esplosione di Chernobyl: si parla di duecentomila, per cause tumorali sviluppatesi negli anni successivi, ma è un dato che forse non conosceremo mai. Intanto, il sarcofago che sigilla il reattore sta invecchiando, andrà sostituito da uno nuovo entro il 2023, ma lo si dice da una decina d’anni. Carpi è stata coinvolta a fondo in quella tragedia. Con uno slancio di generosità paragonabile a quello del dopoguerra, quando accolse centinaia di bambini dal centro e sud Italia devastati dal conflitto (e non è che qui si stesse molto meglio) in tutti questi anni ha ospitato bambini bielorussi grazie all’azione solidale di Progetto Chernobyl e Legambiente. Per questo stupisce l’anniversario passato in sordina in città. Aveva ragione, il portavoce del Progetto, a scrivere tempo fa che sulle conseguenze ambientali e sociali di quell’incidente era assai probabile calasse “non solo il silenzio, ma anche il sipario”. Più che probabile, certo.

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