Fra vari improperi irriferibili ricevuti da chi scrive per aver ripreso uno straniero, chiaramente dell'Est Europa, sorpreso a orinare in un giardino privato da un'area pubblica, colpiva in particolare quello di “comunista”. Il che, in bocca a un cittadino rumeno o moldavo o ucraino, poteva significare due cose. O l'equiparazione della definizione di "comunista” a un'offesa giustificabile anche con il solo ricordo del giogo sovietico, dunque tutta rientrante nella sua sfera emotiva e del tutto estranea e anche un po' sorprendente per colui al quale era indirizzata. Oppure, avendo il soggetto assimilato il gusto tutto italiano – ma anche di molti turisti stranieri che approdano da noi – per la libertà confusa con l'arbitrio, “comunista” è la semplice osservanza delle regole che a lui, date le origini, evocano solo epoche di oppressione. La regola, per farla breve, intesa non come strumento di convivenza e mediazione fra gli egoismi, ma di per sé limitante e oppressiva. Va bene che era ubriaco: ma ha colto perfettamente la differenza tra destra e sinistra.
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