Se si eccettua il “caso” del giovane dandy tiktoker, non risultano molti altri eventi ai quali la città si stia particolarmente appassionando, in questi giorni. Tanto vale, dunque, lasciarsi trasportare dalla chiacchiera nazionale sulla formazione del futuro governo Draghi, stimolata anche da una curiosità emersa in redazione. E che si potrebbe riassumere in una domanda: fra la prospettiva di un “governo di tutti”, visto l'accorrere generalizzato al sostegno del futuro esecutivo, e il rischio di un “governo di nessuno”, scaricato dal confronto con le aule parlamentari, quale potrebbe essere il punto di equilibrio? La domanda è legittima, data la montagna di richieste e aspettative, anche contrastanti l'una con l'altra, che i partiti staranno rovesciando sul tavolo del premier incaricato. La conclusione alla quale siamo arrivati noi – senza la pretesa di scoprire alcunché di nuovo – è che quel punto di equilibrio Mario Draghi possa trovarlo nella... paura. Proprio così: la paura della classe dirigente politica attuale per la propria incapacità, la paura per la propria impotenza, sottolineata dall'assoluta diversità rappresentata dal premier incaricato. Che è altro, appunto, in fatto di competenze, stile e soprattutto relazioni di altissimo livello internazionale a confronto con la sguaiataggine, la deregulation di stili e linguaggi, il provincialismo e l'impreparazione di tanto personale politico uscito dalle urne del 2018, fino alla situazione di stallo in cui si è cacciato e che ha fatto arrabbiare e incupire il presidente Mattarella.
