Regine, Metacarpi del 9 aprile

Chi credeva che si fosse un poco esagerato, qui da noi, con gli appelli alla coesione nazionale, sentito il discorso della regina Elisabetta si sarà consolato, nel cogliervi gli stessi riferimenti all’autodisciplina e alla solidarietà. Un Conte non è la Regina, certo. Il nostro 8 settembre 1943 gronda ancora vergogna, mentre rifulge di gloria il 1940 di Winston Churchill. Accidenti, però: quanto ci hanno snobbati per le nostre misure restrittive, quanto ci hanno guardati dall’alto, irridendo alla nostra propensione atavica al melodramma, all’autocommiserazione e alla cultura mammista e piagnona, per contrapporvi la stolida compostezza dell’andare sempre avanti, costi quel che costi, indifferenti a tutto e con britannica testardaggine, verso la meta assegnata. Il fatto è che la pandemia pareggia tutti, smussando velleitarismi e valorizzando l’esperienza che, disgraziatamente, è toccato a noi compiere per primi. E se qualche cosa il mondo ha imparato, se potrà evitare di commettere qualche errore, non sarebbe male lo riconoscesse alla umile e orgogliosa Italia del Coronavirus.

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