Ma perché il giorno stesso del voto regionale, Silvio Berlusconi può clamorosamente dissociarsi dal principale alleato sulla politica estera, pur stando ben dentro la maggioranza di destra-centro, e a sinistra invece no? E si preferiscono piuttosto le scissioni o far cadere i propri governi (vedi Bertinotti con Prodi)? Vai a capire. Sospendiamo la prima risposta che verrebbe, e cioè i brutali calcoli di partito: alla Calenda o alla Conte, per intenderci. E tentiamo di andare un poco più in là, per provare a verificare se al fondo di quel magma indefinibile che è la “sinistra” non resista tenacemente una visione della politica non come strategia per il potere e arte del possibile e del compromesso, ma come testimonianza. Quella che ti mette in pace con la coscienza e ti fa sentire a posto con i tuoi principi e chissenefrega se a ogni elezione stai a casa e perdi gli strumenti almeno per avvicinarli, gli obiettivi. C’è insomma il sospetto che la sinistra, più che a un concetto della politica, somigli a una categoria dello spirito. Umorale, delicata e sensibile quant’altre mai.
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