... and happy new film

Non so se interessa a qualcuno, ma voglio comunque dirlo: per me il 2023, assieme a tante piccole o grandi soddisfazioni private e familiari che ovviamente fregano zero, è stato l’anno della riscoperta del cinema, inteso non come forma artistica, ma come pratica, come ambiente, come esperienza.

Complice una stagione di uscite più che discreta (metto subito le cose in chiaro: non faccio parte di quelle prefiche che vanno dichiarando che il cinema è morto con gli effetti speciali, oppure ancora prima con le produzioni hollywoodiane, o con l’avvento del sonoro, eccetera eccetera), mi rendo conto oggi che quest’anno ho abitato – da solo, in coppia, in compagnia – le sale cinematografiche con una frequenza decisamente inusitata per gli ultimi tempi. Forse anche, per quelli della mia generazione, con una frequenza un po’ fuori moda, perché siamo noi, che adesso abbiamo cinquant’anni, che abbiamo tradito il cinema per primi, passando innanzitutto, con una certa arroganza, alle videocassette e alle proiezioni domestiche fra amici (e mi fermo qui), poi ai dvd e ai videonoleggi, infine a tutte le diavolerie di apparente upgrade tecnologico, fino, ovviamente, alle piattaforme e allo streaming. (segue)

Io mica mi tiro fuori, da questo andazzo, anzi lo confesso apertamente, che a un certo punto ho pensato che l’esperienza della sala buia e della proiezione fosse anacronistica, una cosa da passatisti, perché c’era da prendersi su al freddo, parcheggiare, comprare i biglietti, rischiare di spendere dei soldi per delle ciofeche, e così via, quando invece il nuovo mondo, il paradiso terrestre dei cinefili, era diventato quello del “tutti i film, di tutti i tempi, in tutte le lingue, sempre disponibili, ad ogni ora”, sui millanta siti gratuiti o in abbonamento a disposizione.

In verità, dico una banalità, stiamo parlando di due sport diversi: le proiezioni domestiche, ammesso che siano su schermo televisivo e non, trivialmente, su computer o addirittura smartphone (so che c’è gente che…), sono continuamente interrotte, non solo da agenti esterni, ma anche dalla mancanza di volontà interiore, di motivazione; per cui alla fine, per guardare una commedia a basso budget con l’ultimo Robert De Niro che fa l’ultimo dei suoceri trucibaldi che maltrattano gli ultimi aspiranti sposini del caso, ci metti quattro ore, neanche fosse la versione autoriale di Apocalypse now, perché ti fermi, ci stanno due pipì, un frigorifero da perscrutare, e poi il primo che passa, anche fra le mura domestiche, non essendoci la sacralità della oscurità e del silenzio, se può te la mette una bella zeppa per bloccarti la visione, altro che.

Quando, invece, sei in sala, soprattutto in quelle sale storiche con centinaia di posti che si perdono a vista d’occhio, e si fa il buio totale, il massimo dell’interferenza può essere costituita dallo sgranocchiare di qualche impenitente consumatore di arachidi, ma poi il film è lì; tra l’altro con la variabile positiva, oggi, che devi arrivare in orario e te la devi guardare dall’inizio alla fine, la pellicola, non come facevamo da ragazzi, che io me lo ricordo bene, eccome me lo ricordo, King Kong, quello del 1976, che l’ho visto a partire dalla battaglia con gli aerei sulle Torri gemelle, e poi tutto il resto del pomeriggio a cercare di capire come c’era arrivato, lì, lo scimmione, da quell’isola preistorica in cui maramaldeggiava da tempo.

Insomma, per me il cinema in sala è diventato (ridiventato) una specie di beauty-farm, uno di quei posti in cui ti rifugi, per staccare le connessioni con il mondo, per renderti irreperibile non tanto dalle persone quanto dalle piccole e grandi rogne del secolo. Devo aggiungere, d’altra parte, che per me tornare al cinema ha significato anche riprendere a consumare il prodotto filmico per eccellenza, quello kolossal, e qui immagino le delusioni, le espressioni  un po’ contrite, ebbene sì, credo che ci siano dei film che per la loro densità intellettuale li potresti vedere anche su un telefonino, o al videocitofono, o sul display della lavastoviglie, e non cambierebbe niente, perché sono fatti di dialoghi, di situazioni, di grandi virtù recitative, i film d’autore sono belli, altro che, però per me il buio in sala vuol dire spettacolo, fragori, scene collettive, combattimenti, per cui il cinematografo è sinonimo di intrattenimento e di blockbuster, e viceversa. (segue)

Per dire, se mi si chiedesse qual è stato non il miglior film del 2023 (non credo che lo saprei dire, e anche questo come interesse è molto vicino allo zero) ma lo spettacolo filmico che mi sono goduto di più in un cinema, in quest’ultima stagione, non ho dubbi, e direi Godzilla minus one, l’ennesima  produzione giapponese dedicata al mostro preistorico rivitalizzato, o potenziato, dalla radioattività nucleare.

A me i film di mostri, di creature aliene, di invasori, hanno sempre regalato scariche di endorfine, e per me, al netto delle sovrastrutture culturali che mi hanno fatto guardare, apprezzare e commentare pensoso il cinema per intenditori e palati fini, andare ad una proiezione ha sempre equivalso, per verecondia d’animo e disponibilità fanciullesca alla meraviglia, a una cosa simile ad andare al circo, per assistere non tanto ad un’opera della settima arte, quanto, propriamente, a uno show.

E chiudo senza pudore, dicendo che, forse illusoriamente, per il nuovo anno mi auguro un sacco di cose, ma se se c’è una roba che adesso mi sento di condividere, proprio così, senza freni e senza filtri, è questo auspicio, di riuscire ad andare più volte, in mezzo ad altre persone (non  necessariamente a delle folle, per Godzilla eravamo in sette, alla fine potrei citare i codici fiscali dei presenti), a godermi tanti spettacoli cinematografici, non per scappare dal mondo, capisco che c’è questo rischio, ma per metterlo ogni tanto in pausa, il mondo, e una volta che se ne è ripresa la proiezione, sempre del mondo reale, guardarlo con un occhio più sapiente, distaccato, l’occhio di chi, davvero, grazie al cinema in sala, al cinema al cinematografo, di mondi immaginati e immaginari ne ha comunque già visti tanti.