Vite con Covid, vite di Covid, Micromega di Giuliano Albarani

Sì, vabbè, c’è il Coronavirus che gira e continua a contagiare, ci sono le grandi narrazioni epidemiologiche e virologiche, ci sono i dpcm e le ordinanze, c’è lo scontro mezzo politico mezzo culturale sui poteri speciali del governo e sulle libertà incomprimibili dei cittadini che non vogliono essere sudditi, ci sono i bollettini quotidiani e le infografiche sul Covid 19 nel mondo (arrivano anche dei complimenti all’Italia per come ha gestito l’emergenza, fa te), c’è tutto questo e di più, ogni giorno, acca ventiquattro, caterve di teoria e alluvioni di informazione, ma poi, a valle, concretamente, come deve comportarsi il bipede che voglia rimanere nell’alveo della legge e della morale e, allo stesso tempo, se possibile, continuare a vivere? No, perché non so se ce ne stiamo accorgendo, ma questa rogna della pandemia, insieme a tutto il carico di lutti e sofferenze che ci porteremo in eredità come memoria, collettiva e individuale, ci mette davanti, nel passare dalla fase dell’emergenza e del tutti fermi alla lunga stagione della convivenza con il virus, a un bivio attitudinale e psicologico (ma che dico psicologico: psichico, mentale). I casi, appunto, sono due: o, causa Covid, facciamo tutti insieme una specie di scarto darwiniano, diventando soggetti composti, responsabili, lucidi, sempre capaci, situazione per situazione, imprevisto per imprevisto, di abbracciare e praticare la scelta ottimale (o, alla peggio, meno dannosa) per noi e per gli altri, secondo una razionalità fredda e calcolistica da intelligenza artificiale, oppure ci candidiamo a divenire una pletora caotica di umorali che ondeggiano fra la paura e l’orgoglio, il pessimismo e la speranza, alla mattina testosterone e mascherina in tasca, o la va o la spacca, il pomeriggio i sudori freddi di fronte alle prime notizie di impennate dei contagi, la sera apericena alla facciazza dei limiti sugli assembramenti, poi le insonnie notturne all’insegna del “domani chiamo per fare il sierologico”. Oggi, nella difficile transizione verso un regime di coabitazione con il virus, questo dilemma – andare verso una gestione quotidiana, pratica, dei rischi della pandemia improntata a un supremo, illuministico, disprezzo dell’emotività, in nome della sicurezza e dell’utilità, o, di contro, naufragare dolcemente nel mare dell’incertezza e dell’incostanza – alberga dentro di noi.

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