Balestrieri chi, Micromega del 5 settembre

Premessa fondamentale: per la lettura di questo articolo serve un po’ di pazienza, perché sulle prime, lo dico sinceramente, esso potrebbe sembrare anche un esercizio abbastanza gratuito di erudizione, categoria, per intenderci, “chissenefrega”. Chi avrà il buon cuore di arrivare in fondo capirà, però, il senso della lunga, forse tediosa, premessa. Che vado subito ad esplicitare, sennò vien notte. Allora: tra le tante fregole intellettuali che mi sono venute con l’invecchiamento – probabilmente precoce e grave – c’è anche quella dell’approfondimento e, nei limiti del possibile, della maggiore conoscenza della grande tradizione della letteratura in dialetto del nostro paese. Convivono in questa ambiziosa e, in ultima istanza, sterile volontà di “sapere”, da un lato la crescente fascinazione per le lingue, quelle nazionali come quelle regionali, mai studiate abbastanza in gioventù; dall’altra parte la convinzione che in una realtà geografica come quella italiana, secolarmente contraddistinta dalla separazione (economica, sociale, culturale) fra l’alto e il basso, la letteratura in dialetto sia stata spesso in grado di fare discorsi di verità, ai limiti del crudo realismo, che la poesia “di scuola” ha sistematicamente rifuggito. Sia come sia, qualche tempo fa mi è capitata sotto gli occhi la segnalazione di un’originale uscita editoriale (ripeto: sono consapevole di mettere molto, moltissimo, alla prova la pazienza del lettore), cioè la versione milanese settecentesca, realizzata da un letterato che si chiamava Domenico Balestrieri, della “Gerusalemme liberata” di Torquato Tasso. E qui potremmo chiudere il discorso, e berci un bicchiere di ‘sticazzi, nel senso che un’opera del genere, e il connesso evento della sua apparizione fra gli scaffali delle librerie italiane, dovrebbero interessare, di norma, l’un per un miliardo della popolazione mondiale. Ma non è sul libro in sé che mi voglio concentrare: quello che conta è ciò che mi è successo dopo la timida accensione di un interesse per la pubblicazione (dai che ci siamo quasi...).

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