Beati noi con i supereroi, Micromega

Leggo su un sito specializzato che almeno un paio di uscite cinematografiche della imminente estate 2023 riguarderanno supereroi, in particolare un nuovo film di animazione riguardante Spider-Man e il tanto atteso Flash. Nel frattempo ovunque i supereroi impazzano: la piattaforma in streaming con le maggiori crescite di utenti e di fatturato degli ultimi anni è stata quella della Disney, che ha incorporato tutto il patrimonio filmico targato Marvel, oltre che la stessa casa madre per intero; nelle Tv in abbonamento fioccano i canali dedicati, con programmazioni incentrate a rotazione su Batman, Superman, gli Avengers, eccetera; io, nel frattempo, a fronte di tutto questo, invece che reagire con la suprema indifferenza del saggio ultra-cinquantenne, da qualche anno ho ripreso a comprare e collezionare fumetti nuovi e d’epoca, dai Fantastici 4 a Capitan America, sino a Devil e Thor.

Il fenomeno della reviviscenza dei supereroi, non intesi in senso metaforico ma letterale, quelli cioè con il costume (un tempo si sarebbe detto “in calzamaglia”), ciascuno con un potere particolare, da una parte chi corre velocissimo, dall’altra quello o quella che ha una forza sovrumana, e poi ancora raggi laser che escono dagli occhi oppure capacità di infiammarsi o di ghiacciare tutto quello che c’è intorno, e chi più ne ha più ne metta, dicevo, la reviviscenza dei supereroi potrebbe sembrare un semplice prodotto indotto dall’industria culturale, in particolare dal cosiddetto Marvel Cinematic Universe, cioè la serie di film che hanno portato sullo schermo le storie dei giustizieri con super problemi inventate da Stan Lee e compagnia. 

È vero che gli incassi al botteghino, ad esempio, dei film dedicati ai Vendicatori sono stati in qualche modo proporzionali alle dimensioni colossali degli investimenti finanziari. Ma, soprattutto quando si parla di cultura, bisogna stare attenti a pensare che l’offerta possa costruire e forzare la rispettiva domanda purchessia: se i vari blockbuster dedicati all’Uomo Ragno, di cui si contano almeno tre serie con tre attori diversi, per un totale, se non erro, al momento, di una decina di pellicole, hanno sbancato, non solo in termini di denaro raccolto ma anche di apprezzamento della critica, evidentemente c’è qualcosa di più. Più vasto e più profondo.

Fino a qualche tempo fa confesso che associavo questa permanenza nell’immaginario collettivo di figure archetipiche anche abbastanza semplici, per non dire elementari, come può essere, ad esempio, l’incredibile Hulk, al processo di invecchiamento dissimulato della generazione dei baby-boomers. Come, d’altra parte, nella moda. Oppure nella musica, in cui siamo testimoni (e allo stesso tempo artefici, noi che siamo nati fra gli anni Cinquanta e Settanta), di una dinamica abbastanza incredibile, se letta a posteriori rispetto alle premesse: ogni anno, in quasi tutti i paesi del mondo occidentalizzato, i palinsesti dei grandi eventi concertistici sono occupati non dagli interpreti musicali emergenti, ma dalla reiterazione delle prestazioni di coloro che “spaccarono” e furono rockstar trenta, quaranta, a volte cinquanta anni fa. 

Vedi il caso più clamoroso, quello dei Rolling Stones, che di fatto non hanno nemmeno dovuto praticare una reunion ma sono rimasti coesi e attivi, insieme, fino ai nostri giorni. Ecco, per parecchio tempo ho pensato che quello delle “pietre rotolanti” fosse un esempio, il massimo esempio, di accompagnamento delle persone, per così dire, dalla culla fino all’anzianità, un processo, anche un po’ patetico, in cui i fan invecchiano assieme ai loro idoli, e viceversa, stando a braccetto, ciascuno conoscendo degli altri pregi e difetti, con la disponibilità a chiudere un occhio sui secondi. Poi però mi sono reso conto che la platea dei concerti degli Stones, così come quella che segue gli altri mostri sacri del rock, era, ed è, composta da più generazioni: basta pensare, per venire a casa nostra, al caso di Vasco Rossi, i cui concerti negli ultimi anni hanno messo in comunicazione non padri e figli, ma pure nonni e nipoti.

Torno ai supereroi, e alle supereroine (non bisogna dimenticare che uno dei blockbuster cinematografici di maggior successo in materia è stato quello con protagonista Wonder Woman). E anche qui vedo che, se la lettura degli albi da parte dei giovani è, rispetto agli anni ruggenti del fumetto, una fattispecie di nicchia, lo stesso non vale per le serie Netflix, o per i canali dedicati, oppure, appunto, per i film, fra cui i due citati in apertura.

E penso allora che non sia solo questione di nostalgia di chi come me ha imparato a leggere sulle uscite quattordicinali della Editoriale Corno, che portava in Italia con circa dieci anni di ritardo, le cose degli States (i Fantastici 4, per intenderci, sono del 1961). E non è nemmeno solo questione, attraverso la frequentazione di questi totem dell’infanzia e della giovinezza, di provare a ingannare lo scorrere del tempo, di dirsi che le cose non sono cambiate, si tratterebbe di una delle tante sfaccettature del processo di adolescentizzazione della società, con i cinquantenni come me che si vestono tali e quali i loro figli, si fanno i tatuaggi, e così via.

No, sospetto che ci sia di più, che ci sia, dietro alla permanenza di queste figure, a ben vedere anche abbastanza buffe, dotate di scudi indistruttibili, di martelli invincibili, oppure della capacità di rimpicciolirsi fino a parlare con le formiche e governarle (Ant-man, per i non esperti), il bisogno schietto di eroi. Cerchiamo eroi tutti i giorni, nel quotidiano, sui mezzi di comunicazione, ma soprattutto nell’universo parallelo della fantasia, perché è inutile negare che mai come in questo frangente storico, così come in quegli anni Quaranta che sono riconosciuti come la golden age del fumetto supereroistico, ci sentiamo fragili, esposti a delle variabili e a delle sfide, economiche, pandemiche, climatiche, troppo grandi per essere gestite attraverso i mezzi ordinari dell’intelligenza e della operosità umana. 

Anche perché, a differenza degli eroi in carne e ossa, che non solo sono rari ma possono anche facilmente disilludere (quanti campioni della giustizia, della legalità, della solidarietà si sono purtroppo rivelati improporzionati alla loro fama…), quelli che hanno i super poteri sullo schermo o sulla pagina non deludono mai. Sono, come noi, pieni di problemi, problemi sentimentali, problemi di coscienza, problemi di legittimità e riconoscimento, ma quando è il momento non si tirano indietro, fanno, o almeno provano a fare, la cosa giusta, per sé e per tutti, resistendo all’egoismo e alla dittatura del particulare. Ed è a ben vedere questo altruismo, prima di tutto questo, il potere non umano che invidiamo loro, ai nostri supereroi.