Caro Ragionier Fantozzi...., Micromega

Caro Fantozzi Ragionier Ugo (so che Le piace essere chiamato così), 

 

mi chiamo Giuliano, anzi, così siamo pari, sono il Professor Albarani Giuliano, e Le scrivo da Carpi (amenissima città della provincia modenese) dall’anno di grazia 2022. Non so dove e quando si trovi Lei, a maggior ragione dopo la dipartita dalle traversie terrene del Suo ideatore e interprete, il Signor Paolo Villaggio, ma confido di poterLa, con questa mia, raggiungere.

Certo, non escludo che a causa della mostruosa inefficienza dei servizi di posta attuali – vivo in una frazione di nome Fossoli dove l’evento del postino assomiglia sempre di più a un avvento, e i bambini chiedono, incuriositi, chi è quell’uomo circonfuso di magia, con la pettorina, che infila buste nelle cassette – la presente, servilissima, comunicazione non Le pervenga mai, oppure Le arrivi, come accade di sentire, fra ottanta, novant’anni, piena di timbri sull’involucro e senza la lettera dentro.

Le scrivo però lo stesso, primo perché sono ostinatissimo (anche io, come Lei, quando le macchinette automatiche per bibite o vivande non funzionano, o funzionano male, impreco e insisto, a costo di spendere una fortuna), in secondo luogo perché – sempre come Lei – alla fine sono uno perbene, anzi, esagero, sono un cittadino che paga le tasse (e qui deglutisco e mi guardo intorno, perché non vorrei aver offeso qualcuno), e in quanto tale ragiono sempre come se i servizi, in questo paese che amiamo senza essere ricambiati, funzionassero a orologeria.

E le scrivo, egregio, no, stimato, no, ecco, gentile Ragioniere, per comunicarLe che mi hanno appena regalato un libro, pubblicato da una piccola casa editrice di Genova, Il Melangolo, intitolato Filosofia di Fantozzi. Lo ha scritto un signore che si chiama Stefano Scrima, e magari, quando avrò finito questa lettera, ne scriverò una anche a lui, per dirgli, Ragioniere, che ha fatto bene, a pubblicarlo, questo libro, in mezzo, mi perdoni ma sa cosa intendo, a tante cagate pazzesche che vengono mandate in stampa ogni giorno.

Perché, Fantozzi, noi che siamo nati, come Lei, nel 1971 – ho letto anche il Suo primo libro, sa? – e che abbiamo visto direttamente nelle sale, esclusi forse i primi due, recuperati in tv, ogni film della serie, comprese le pellicole del cugino Fracchia, a partire da Fantozzi contro tutti (quello della Pina innamorata del panettiere, che Le riempie la casa di sfilatini, e della Coppa ciclistica Cobram, per intenderci), ecco noi del ’71 abbiamo sempre preso tremendamente sul serio le cose che diceva, faceva ma soprattutto che le accadevano, e pensiamo da tempo che esista una Sua filosofia, come dice il libro.

Adesso fanno tutti i radical chic e si divertono a mischiare il basso e l’alto, ma io ce li ho ben presenti certi megadirettori della cultura e dell’università che se citavi il Fantozzi Ragionier Ugo ti apostrofavano con voce baritonale, “ma cosa fa, dottor Albarani, mi guarda queste commedie?”. Loro, che si sciroppavano, fingendo clamorosamente interesse, le nuove corazzate Kotiomkin (di solito film francesi molto dialogati, in cui i personaggi non parlavano di ufficio, traffico e vacanze, ma facevano delle subordinate di terzo grado, senza sbagliare, discettando di identità personali e triangoli relazionali, come tutte le persone normali, no?), ecco loro ti trasformavano nel loro Puccettone o nel Pupazzi, Fantocci, Bambocci di turno, facendoti sentire uno sfigato. E non capendo che le nuvole dell’impiegato, i calcetti patetici, le vacanze da coatti, e aggiungerei anche il culto dell’amante (la signorina Silvani) e i capodanni festeggiati in anticipo, seppure in forme sempre più raffinate e glamour (e per questo ancora più fantozzianamente turlupinatrici), sarebbero diventati, da mode che erano, vere e proprie antropologie.

Adesso un editore che pubblica anche Heidegger manda in libreria la Filosofia di Fantozzi, che leggerò, forse fra la tredicesima e la quattordicesima portata del cenone aziendale di quest’anno, e sono davvero contento. Perché le partite a tennis con Filini (“Allora, ragioniere, che fa? Batti?”…“Ma, mi dà del tu?”…“No, no! Dicevo: batti lei?”…“Ah, congiuntivo!”…“Sì!”) e i tentativi sempre frustrati di vedere le Italia-Inghilterra di turno (con frittatona di cipolla, birra ghiacciata e rutto libero, ovviamente) sono ormai, invece che delle grottesche deformazioni, delle autobiografie della nazione. E perché noi del secolo dopo il Suo, lo faccio umilissimamente notare, viviamo, esattamente come Lei, nell’ammirazione del direttore galattico, con poltrona in pelle umana, e perché, ancora, le nostre giornate, in concreto, sono pari pari la copia del suo borbottio rancoroso contro i soprusi, alternato ora a clamorose deferenze e leccaculaggini verso i potenti, ora all’entusiasmo infantile per le boiate di tendenza, tipo la cucina giapponese (nella quale, ricordiamolo, rosolano Pier Ugo, il cane pechinese della Silvani, dopo aver servito crudi i pesci rossi dell’acquario).

E io, Ragioniere, ho come l’impressione che della Sua aura, o, se preferisce, della Sua ombra, non ci libereremo mai. E continueremo al massimo a dividerci, socraticamente, fra quelli che sono Fantozzi, ma credono di non esserlo, e quelli, più fortunati, che avendo visto film e letto libri con Lei e su di Lei, sanno di esserlo, e soffrono, sì, ma con la forza di ridere di se stessi.

 

Suo, devotissimo, Giuliano Albarani