Guerra all'italiana, Micromega

Scoppia, in piena Europa e a ventunesimo secolo avanzato, un conflitto arcaico e insopportabile (storicamente, politicamente, moralmente) come quello in Ucraina? C’è difficoltà a reggere il peso emotivo e di coscienza di una guerra che riproduce i peggiori cliché delle ecatombi novecentesche (attacco ai civili, esodi di massa, disprezzo di ogni norma del diritto internazionale), dopo anni di reiterati, e infecondi, “mai più”? Non sapete come tenere insieme la sacrosanta volontà di riprendere in mano il timone delle vostre esistenze dopo due anni di (necessarie ma dure) libertà vigilate e mascherate e, dall’altro lato, il fatto che basta un paio minuti di reportage da Mariupol per azzerare tutte le velleità di ridare un minimo di colore a vite abbondantemente ingrigite dalle onnipresenti crisi (economica, terroristica, pandemica) degli ultimi decenni?

Niente paura, direbbe quello, c’è una ricetta per tutto, anche per digerire la guerra alle porte dell’Unione europea, i massacri nei villaggi, i profughi, e soprattutto le storie terribili che arrivano nelle case e nelle famiglie, oltre che tramite i mezzi di informazione, mediante le tante relazioni di prossimità con uomini e donne originari o recentemente provenienti dall’Ucraina.

Il protocollo di normalizzazione dell’assurdo e del mostruoso, almeno nel nostro paese (so di quello), procede attraverso tappe ormai standardizzate, e di comprovata affidabilità. Il primo passo per convivere con l’abnorme, si tratti delle Torri gemelle, del Bataclan, del default greco o, appunto, del Covid 19, è l’ipertrofia informativa. Contravvenendo alle leggi della logica, per cui a un plus di informazione e competenza dovrebbe corrispondere un upgrade nell’indignazione e nella preoccupazione, in questi casi vale il principio della saturazione: se c’è una roba grossa, che potrebbe destabilizzare l’opinione pubblica, distribuiscila capillarmente e ossessivamente in tutti i media, in tutte le fasce orarie, in tutti i contenitori (dai canali televisivi all news fino a Glamour pocket e Ippica oggi), e vedrai che nel volgere di qualche giorno, massimo settimana, la preoccupazione si trasformerà in nausea, conato, e infine ripulsa.

Seconda mossa: qualunque sia l’affare, dalle tragedie dei migranti nel Mediterraneo alla deforestazione, rendilo tempestivamente materia di contesa, di contrapposizione, meglio se attraverso figure caricaturali (c’è un Orsini per tutte le stagioni, e sotto sotto per tutte le parti in causa), secondo il ben noto principio “le opinioni separate dai fatti” (cioè, dico quello che mi pare, senza ancoraggi alla realtà effettuale, perché il riscontro empirico, il controllo dei dati, il suffragio evenemenziale delle robe che si sparano nell’etere è assillo da nerd e sfigati). In questo modo l’invasione russa dell’Ucraina diverrà ben presto, invece che un dramma immane e insostenibile, un canovaccio da commedia dell’arte, con le parti in scena stabilite e personaggi-caratteri preventivamente riconoscibili e rassicuranti (ecco allora, al posto di Arlecchino e Pantalone, il polemologo realista, l’intellettuale provocatore, il cantante svarionato, il giornalista prezzolato, e così via).

Dopo aver piazzato l’uno-due appena citato, la terza fase dell’operazione “vivi sereno” (anche se c’è la guerra, Al Qaeda, gli spillover virali, eccetera eccetera) consiste nella politicizzazione (anzi, per essere precisi, nella trasfigurazione partitica) delle emergenze. Qui affiora, in tutto il suo potenziale corrosivo, la specificità di un quadro nazionale italiano che affianca alla tradizionale, atomistica, frammentazione di sigle e movimenti (e, al loro interno, di correnti, clan, tribù), la compresenza, oggi, di un parterre di rappresentanti del cosiddetto ceto politico che ha superato gli steccati fra vita e teatro, realtà e commedia (da cui la crisi della satira del potere, che di fatto coincide in molti casi con la pura cronaca). Se vuoi mandare in vacca l’auspicabile serietà con cui si dovrebbe parlare di geopolitica, Nato, guerra non convenzionale e trattative di pace non ti serve altro che un bel pastonista parlamentare che dia conto delle eccentriche smanie di posizionamento di segretari, presidenti, coordinatori di partiti e movimenti per differenziare le rispettive valutazioni e proposte in merito alla crisi internazionale. Sicuro che, in un frangente storico di pessima reputazione delle classi dirigenti nazionali, il polpettone di distinguo e stramberie che, di dichiarazione in dichiarazione, ne verrà fuori (più armi all’Ucraina, meno armi all’Ucraina, meno gas dalla Russia ma con lo stesso petrolio, no, meno petrolio e stesso gas, pagato in euro, ma che dici vanno bene anche i rubli, se vuoi la pace prepara la guerra, o forse è il contrario, e in ogni caso Putin è sempre stato mio amico) impiegherà meno di mezza giornata per garantire il trionfo della sillogistica caciara qualunquista: tutti i politici sono uguali, le posizioni sulla guerra, all’apparenza diverse, sono sostenute da politici, ergo tutte le posizioni, in fondo, si equivalgono, anzi adesso che ci penso sono gli Ucraini ad aver invaso la Russia.

A questo punto il quadro clinico è propizio per l’ultima, ferale, anestesia alla iniziale e ingenua volontà dell’opinione pubblica di informarsi e mobilitarsi in modo responsabile e consapevole, diciamo serio: entrano in lizza i vademecum sulle conseguenze pratiche e quotidiane della iattura di turno (“ecco quanto pagheremo la bolletta della luce” è, sul piano ontologico, l’equivalente del “i dieci modi per non rinunciare alla corsa mattutina” del periodo di lockdown, e non dista molto dai tanti, impuniti, “come fare affari con la crisi”), in modo tale che anche lo spauracchio del conflitto termonucleare, alla fine, si possa tradurre, massimo che vada, nell’interrogativo “ma c’è il centodieci sui rifugi anti-atomici?”.

Sia chiaro: le cose non funzionano così per tutti, c’è chi, per formazione, o sensibilità, o semplice forza d’animo, decide di non prendere la medicina, e si tiene peso e acidità di eventi e scenari che non possono che imbarazzare come la catastrofe in Ucraina. Ma per quelli che – umanamente, sia ben chiaro – non vogliono ragionare, ma solo, come direbbe il nostro Dante, guardare e passare oltre, non mancano le opportunità di normalizzazione e rimozione della guerra. Che sarà anche inevitabile, e connaturata alla specie umana, e alla sua storia, come destino e immanenza, certo. Ma se c’è un Povia che ne parla in prima serata, sicuro che fa meno, ma molto meno, paura.