Happy birthday

Scrivo con la mano tremula, la vista annebbiata, la mente offuscata. Ma già mi considero fortunato a essere sopravvissuto, e di poter contare, nell’arco di qualche giorno, una settimana al massimo, sul pieno recupero delle mie capacità psico-fisiche. Non tutti, credo, hanno la fortuna di riprendersi appieno, dopo esperienze consimili. Anche perché quando ci siamo sposati e poi abbiamo messo su famiglia, immaginando scenari patinati e privi di stress, da tinello del Mulino Bianco, nessuno ci aveva avvertito che avremmo dovuto sostenere prove di questo genere. Ripetute, e negli anni sempre più impegnative... Così, però, immagino, nessuno ci sta capendo. Faccio uno sforzo, riordino le idee, e spiego tutto per filo e per segno.

Allora: lo scorso sabato – parto da qui, per chiarezza – abbiamo festeggiato il compleanno di Sofia (otto anni). È stato un momento bellissimo e impagabile. Un party solare, con un sacco di bambini, i loro genitori, la musica, l’animazione, e un cielo terso da cartolina. Tra l’altro, per una fortunata coincidenza il genetliaco di mia figlia è coinciso con quello di altri due bambini figli di amici, per cui il risultato è stato un compleanno multiplo, con tre di tutto (il triplo di invitati, tre torte, regali tre volte quelli di una festa ordinaria, eccetera). Una pacchia, insomma.

Se però uno, che non ha figli piccoli e non li ha avuti in questo avvio di ventunesimo secolo, si immagina che a monte del compleanno di tre millennials ci possano essere improvvisazione e spensieratezza, ebbene, si sbaglia di grosso. I birthday party, soprattutto quelli per l’infanzia, sono diventati, da qualche anno a questa parte, delle vere e proprie prove generali delle successive occorrenze matrimoniali. Io sono fortunato che ho mia moglie più giovane e organizzativa di me, ma posso assicurare che l’allestimento di una festa per bambini, oggi, è una roba seria, che mette a dura prova nervi e coronarie.

Il presupposto è noto, e ampiamente studiato dalla letteratura psico e sociologica: noi quarantenni siamo così intimamente convinti di essere genitori inadeguati (perché autoritari ma non autorevoli, perché fraterni ma non empatici, perché logorroici ma incapaci di ascoltare) che riversiamo sulla (numericamente scarsa) prole attenzioni in quantità e forme smodate. Per cui se ogni compleanno non è al top, con il massimo del divertimento e dell’intrattenimento possibili, sviluppiamo sensi di colpa. 

Il meccanismo, non privo di implicazioni competitive fra genitori, è però devastante. Una volta – mica nell’Ottocento, sto parlando degli anni Settanta – le feste di compleanno, rigorosamente a domicilio con non più di mezza dozzina di invitati, erano l’occasione per smaltire scorte di patatine in predicato di scadenza e bottiglioni di Cola surrogata e di importazione dubbia, nonché per delibare torte dalle colorazioni pastello molto simili a quelle, plastificate, offerte dalle pasticcerie della Germania dell’Est. Adesso anche per il compleanno più anodino si va come minimo di catering, in attesa che facciano la loro comparsa cuochi di grido e chef stellati.

Il divertimento, prima della fatidica svolta del Duemila, non era un problema: ricordo abbastanza bene festicciole di prima o seconda elementare trascorse a scazzottarci dal primo all’ultimo minuto (magari con il fuori programma del lancio violento e percussivo dei bignè al cioccolato), con grande soddisfazione dei genitori che venivano a recuperare i rispettivi rampolli abbondantemente lerci e tumefatti. Ora, invece, l’animazione è tutto, gli animatori o le animatrici hanno curriculum e profili distintivi, come i dj internazionali, e delle volte mi viene quasi il sospetto che le famiglie, a fronte della pluralità di offerte (ogni fine settimana ogni nucleo ha a disposizione quattro-cinque party fra cui esercitare l’opzione), scelgano anche in base alla notorietà e all’aura glamour dei responsabili della felicità dei bimbi.

Io, quando accompagno mia figlia ai compleanni degli altri, non lo nego, mi diverto tantissimo. E vivo di rendita, delibando aperitivi, scambiando amichevoli e amene conversazioni, decidendo  quando assentarmi, per quanto tempo stare via, eccetera eccetera. Quando però arriva il mio turno – sono cioè io, fortunatamente non in solitudine, a dover organizzare – mi viene la tachicardia, perché comincio subito a pensare alle lamentele e alle ironie per i festoni disposti male, per le tartine non perfettamente amalgamate, per la cafonaggine del mancato saluto al fidanzato della cugina in seconda del bambino invitato, che io colpevolmente non ho riconosciuto. È così via.

Il sabato sera, il sabato sera post-festa, anche se magari non ho fatto quasi niente e ho patito tutto interiormente, mi sdraio a letto, con i piedi gonfi, la schiena bloccata, e l’insonnia da eccesso di stress. Penso che anche per quest’anno tutto è filato liscio, e che Sofia è contenta. Già che ci sono però, guardo su Internet e, a scanso di equivoci, comincio a chiedere preventivi per l’anno prossimo ai prestigiatori e clown più gettonati. Non è difficile arrivare al top. Il problema è rimanerci. Soprattutto se si tratta di birthday party.

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