Mi chiamo Covid. Covid-19

Il 10 febbraio scorso il China daily – di fatto il quotidiano di Stato, in lingua inglese, della Repubblica popolare cinese – ha pubblicato un articolo apparentemente pleonastico, almeno nell’ottica e nel contesto di quei giorni (ricordo che il Coronavirus è sbarcato in Italia, almeno a livello di diagnosi ufficiali, dopo il venti). Sotto il titolo Gli esperti hanno insistito per dare un nome al morbo e combattere la xenofobia si articolava una puntuale e piccata dissertazione sull’urgenza di evitare, nella comunicazione spicciola come in quella ufficiale, e fin da subito, l’impiego di terminologie provvisorie, apparentemente spontanee, ma potenzialmente razzistiche e dannose, come “Wuhan Sars”, “Wuflu” (che sarebbe l’influenza di Wuhan), “Virus cinese”, e così via. 

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