Qui non si bara!, Micromega

Questa volta, e spero di essere perdonato, vado proprio sul personale. Perché a volte succedono cose che uno è meglio che non se le tenga dentro, sennò ne viene usurato, e con il tempo ci perde la testa.

Vado con ordine. In quanto cinquantenne – primavera più, primavera meno – appartengo alla generazione dei cosiddetti “immigrati digitali”, cioè quella schiera molto folta di persone che è cresciuta in un mondo analogico, fatto di campetti da calcio e biliardini, televisione e fumetti, e poi è stata trasbordata, quasi senza avvertimento, in una realtà immateriale costituita da siti web, blog, piattaforme e servizi on demand. 

Noi delle ultime coorti targate baby-boom generation siamo stati una vera greppia per i grandi innovatori e investitori della rete: quando siamo sbarcati, da migranti, nel nuovo mondo elettronico avevamo (e abbiamo avuto per molto tempo) lo stesso livello di consapevolezza e autocontrollo di Totò e Peppino all’arrivo alla stazione di Milano. Polli da spennare, pecore da tosare, cavie per esperimenti sul nuovo immaginario social, ci siamo prestati con entusiasmo sacrificale a donare tempo, dati, idee, senza accorgerci che l’atmosfera festaiola dei principali broadcaster (Facebook, in primis, anche se sembra paleolitico) nascondeva (e continua a nascondere, ovviamente in forme sempre più sofisticate) il più imponente processo di scavo ed estrazione di informazioni sensibili - chi sono, cosa desidero, di cosa ho paura - della storia, sicuramente del genere umano, forse della galassia.

Solo da poco tempo, dopo aver pagato pesante dazio (non è solo una metafora, ma si tratta anche di soldoni) alla nostra dabbenaggine digitale, abbiamo cominciato a capire che in rete bisogna andare cauti, e che Big Data, i grandi aggregatori di informazioni poi destinate al marketing individualizzato e all’anticipazione dei nostri comportamenti, ci seguono, e non certo per simpatia disinteressata. Io sono diventato anche discretamente fobico, passando da un estremo di citrullaggine telematica all’altro: prima autorizzavo a sapere dove mi trovavo o quali pagine web compulsavo anche Peppa Pig, adesso mi può scrivere pure la Presidenza della Repubblica che la reazione rimane sempre quella, negare, limitare, vietare, no no no, non avrai la mia privacy.

Chiaro che i buoi, cioè tonnellate di dati interessanti e processabili dai server, sono già scappati, anzi a volte mi immagino i burattinai delle grandi banche dati che mi osservano, dall’alto e a distanza, e si danno di gomito nel vedere come mi agito inutilmente, dopo anni di scioperataggine e scialacquo di info private, nel cercare di difendere il fortino dell’io. La mosca nella ragnatela, che più si dimena peggio è, in sostanza.

Comunque, la morale è che non da oggi, e neanche da ieri, ma da anni, a causa dell’insipienza e irresponsabilità nel farmi tracciare, ricevo sui miei account, a partire dalla mail personale con più anzianità di servizio, pubblicità targetizzate, ed evidente frutto della profilatura (anagrafica, attitudinale, comportamentale). Il fatto che molte di queste comunicazioni finiscano nello spam, perché generate automaticamente da indirizzi fittizi, “civetta”, non ne attenua, anzi, la funzione rivelativa. Queste promo digitali fanno emergere, di fatto, l’immagine sostanziale della mia persona per come essa è inserita e vive, per così dire, nella rete. 

E qui viene il bello, che poi tanto bello non è. Perché prima ci sono state innumerevoli, e sfiancanti, stagioni di avvisi eclatanti, recapitati nella posta elettronica, su grandi e irripetibili svendite di orologi di lusso, strumenti e prodotti per la cura della persona, case-vacanza e automobili. Evidentemente per il Grande Fratello del web mi stavo imborghesendo, e protendevo la mano verso i beni voluttuari che più di tutti attestano l’elevazione dello status cetuale. 

Poi è subentrata la fase, altrettanto deprimente e ripetitiva, dei corsi a prezzi stracciati: corsi su tutto, per diventare un insegnante di fama internazionale ma anche per imparare a scrivere in giapponese, per parlare in pubblico senza eccessi di sudorazione come per identificare al volo le magnifiche sorti e progressive del trading on line, e poi robe per diventare sommelier, chef, raccoglitore di tartufi, ma anche arbitro di calcio o dirigente d’impresa. Deve aver pensato, Big Brother, che dopo la fase ascensiva delle occupazioni stabili e delle piccole-grandi soddisfazioni economiche avevo bisogno di una scossa, oppure, più banalmente, che covavo l’esigenza di frequentare un master o un training serale per cuccare un po’ a matrimonio ormai consolidato.

Infine, notizia dell’altra sera, è arrivato il gong della profilatura simil-geriatrica: nel giro di mezz’ora su @libero.it mi sono apparse la pubblicità di un correttore di postura – se non ho capito male un apparecchio che suona se ti ingobbisci troppo, al quale andrebbe abbinato, naturalmente in offerta, una specie di corsetto per spalle e clavicole – e, squillo di trombe, una mail di Funeral best price, “il primo comparatore gratuito di funerali in Italia” (citazione testuale).

Ecco, io che di morire ho una paura panica, tanto che ci ironizzo sempre sopra per esorcizzare, chiedo: è uno scherzetto digitale di Halloween fuori tempo massimo, l’inveramento spam della massima keynesiana secondo la quale sul lungo periodo saremo tutti morti (per cui è inutile fare previsioni), o cosa? Insomma, non l’ho presa bene, la pubblicità ad personam della consulenza per programmare le mie esequie a costo equo e sostenibile, ed è inutile che Andrea – il mio amico filosofo – dica che tanto le mandano a tutti, queste cose qua, perché lui ha qualche anno in meno di me e nelle mail spazzatura autogenerate, sono sicuro, è uno che si trova i messaggi di modelle che lo hanno visto per strada e lo vogliono conoscere, eccetera, eccetera, mica i messaggi del – ripeto – “primo comparatore gratuito di funerali in Italia”. 

Vabbè, ho sputato il rospo, la tremarella rimane ma almeno così non cova sotto le ceneri. Mi verrebbe anche da aggiungere che, dopo il primo sbiancamento psicologico (se conoscono i tuoi dati e ti mandano messaggi simili, vuol dire che…?), ho provato a buttarla in caciara. “Oh, però l’iscrizione al servizio è gratis, qui non si bara!”. Ma non faceva ridere. Per niente.