A proposito di Natale, Platone, Nietzsche e adultità

di Tommaso Cavazzuti

 

Egregio signor Magnanini, mi riferisco al suo articolo  pubblicato in Voce, il 25 gennaio 2018,  “L’adultità di don Caccia e il Dio utile. Che  non c’è”. Accenno anche all’interpretazione del cristianesmo  data da Nietzsche, che Lei in un articolo  precedente descrive in questi termini: Nietzsche «…  accusa il Cristianesimo di aver contrapposto il concetto  di Dio a quello di natura, identificando il “naturale”  con il riprovevole, definendo il corpo, che non dà  testimonianza di verità, una “prigione dell’anima”, la  quale sarebbe invece il luogo della verità dove parla  Dio. Egli vede nella “speranza” cristiana di una vita  ultraterrena la fine della “tragedia” greca che esprimeva  invece il coraggio di guardare in faccia il dolore e  la morte. Da questo dualismo, dalla svalutazione della  natura e dei corpi, è nata quell’esaltazione del pensiero  come astrazione, solo idee, concetti, numeri e misure  che, trasferitasi da Platone al Cristianesimo, è la base  stessa della cultura occidentale, l’origine della scienza,  di un mondo di pure finzioni che falsifica, svaluta e  nega la realtà. L’affermazione della vita è fatta apparire  come il male, come cosa riprovevole in sé». In questo  suo nuovo articolo dice di aver trovato «…l’inattesa  prova di quanto asserito dal “maledetto filosofo tedesco”  » in un “termine coniato da don Caccia”, ossia il  termine “adultità”. Questo termine, per Lei, «…è la  dimostrazione che Platone ha impresso indelebilmente  al pensiero occidentale il marchio della conoscenza  attravero la ragione, astraendo dalla realtà per collocare  la verità esclusivamente nell’idea».  

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