Il fascino indiscreto delle Primarie, di Saverio Catellani

Confesso di provare una certa invidia per Bologna, dove il 20 giugno si sfideranno in primarie autentiche e niente affatto scontate due protagonisti del centrosinistra come Isabella Conti e Matteo Lepore. In un mondo politico sempre più dominato dai nominati rispetto agli eletti, trovo che le primarie abbiano un sapore squisitamente rivoluzionario. Infatti, chi arriva al potere (magari proprio attraverso le primarie) di solito fa il possibile per non convocarle più, affannandosi a spiegare che “non ci sono le condizioni”, “manca il tempo”, “sono divisive”, “aiutano i nostri avversari” e sperando di chiudere gli accordi intorno a un caminetto con i soliti nomi e cognomi. Non le amavano davvero nemmeno Prodi e Veltroni, che pure le avevano importate in Italia. Al di là delle dichiarazioni di facciata (coinvolgere la gente nella scelta dei rappresentanti, selezionare la classe dirigente e creare un partito autenticamente democratico, cioè “scalabile”), nella pratica le usavano per trarne un successo di immagine e una forte investitura popolare da spendere in campagna elettorale. Tant’è che facevano in modo di confrontarsi contro avversari talmente deboli da non costituire un pericolo (al primo giro si era offerto come vittima sacrificale persino Mario Adinolfi, per dire). Che io ricordi, una sfida a viso aperto si è avuta solo nel 2012, tra Pierluigi Bersani e Matteo Renzi e, di riflesso, l’anno dopo a Carpi tra Alberto Bellelli e Roberto Arletti. Per il resto, soprattutto nelle nostre lande nebbiose, solo silenzio. Una quiete sonnolenta che si spiega con l’evanescenza di un pensiero politico nel Pd carpigiano che si distingua da quello espresso dall’Amministrazione attraverso la sua azione.

Da noi è inconcepibile che il segretario del Pd o un consigliere comunale di maggioranza o qualche eminenza grigia si esponga con opinioni difformi da quelle del Sindaco. Persino la recente dichiarazione pubblica di autosospensione dal partito di un personaggio di primo piano, più volte assessore, è stata accolta nel silenzio. Nessuno gli ha chiesto il motivo, né lui si è sentito in dovere di spiegarlo. Samuel Beckett avrebbe apprezzato. È la nostra normalità, ma è bene sapere che invece altrove il dibattito interno non solo è considerato legittimo (oltre che segno di vita) ma, in una certa misura, persino costruttivo. Insomma, non è una pugnalata alle spalle a prescindere. E non c’entrano le recenti vicende giudiziarie che hanno visto contrapporsi Alberto Bellelli e il suo ex-vicesindaco Simone Morelli, peraltro assolto dalle accuse che ne avevano affossato le ambizioni (e che già all’epoca erano parse risibili a molti: “le fontane danzanti?! I tavolini davanti a una vetrina? Suvvia…”). La vulgata della loro rivalità era più presunta che reale. C’era voluto il sudore della fronte di qualche giornalista per costruire una narrazione attorno a pochi elementi di divisione, più intuiti che espressi. Si può dire che i due fossero davvero avversari solo nel risiko delle nomine (in Aimag come in Fondazione Cassa di Risparmio e dovunque ci fosse da piantare una bandierina), dipingendosi come rappresentanti di due “mondi” che, benché defunti nella società, erano sopravvissuti inspiegabilmente ai tavoli della politica. Tuttavia fra i due la sfida era sul piano muscolare, della tattica politica in chiave autoreferenziale, non sulla sostanza. Su quella, marciavano a braccetto, nel bene e nel male. Non si è mai letto né sentito che avessero visioni diverse o anche solo priorità differenti sui grandi temi: dal Piano Urbano al nuovo ospedale, dalla ZTL al Parco Lama, dallo stadio a Carpi Fashion System e giù giù fino al mercato in piazza e ai déhors. Era emersa una qualche divergenza solo sul futuro di Aimag, che Bellelli voleva far gravitare nell’orbita di Hera e Morelli no, ma era poca cosa per giustificare una discesa in campo del Vicesindaco contro il Sindaco uscente. Tant’è che, quando Bellelli rese noto che si sarebbe ricandidato, nessuno nel partito mosse un muscolo per suggerire l’opzione delle primarie (che in teoria avrebbero dovuto essere la normalità). Paradossalmente ci fu invece chi alzò il dito per chiedere uno strappo alla regola e consentire il terzo mandato da assessore per Simone Tosi. Per dire il fascino intramontabile della successione a se stessi senza sbattimenti di sorta, alla faccia delle primarie.

Se questo è il nostro passato, non è detto che sia anche il prossimo futuro. Fra due anni le carte potrebbero tornare nelle mani del popolo di centrosinistra che potrà incolpare soltanto se stesso se sceglierà di restare silenzioso e inerte, accettando supino che i soliti noti designino il candidato da votare a scatola chiusa (“non è tempo di polemiche e divisioni, stringiamci a coorte contro il nemico sovranista*”). Oppure il popolo potrebbe dire: “anche no” e alzarsi in piedi, per la gioia degli Inti Illimani: “Y ahora el pueblo, que se alza en la lucha, con voz de gigante, gritando: adelante!” Si tratta di arrotolarsi le maniche, trovare la forza d’animo per invocare le primarie e tornare a provare il brivido della democrazia. Comunque vadano, detto da chi ne ha persa più di una, vale sempre la pena.

Saverio Catellani

*P.S. ho scritto “sovranista” perché oggi la chiamata alle armi per giustificare la messa in naftalina delle primarie sarebbe in quella direzione, ma da qui al 2024 il profilo del babau potrebbe cambiare tre o quattro volte. E il nemico di oggi diventare magicamente il principale alleato di domani.

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Già dirigente dell'organizzzazione giovanile della Dc sul finire degli anni Novanta, l'autore ha successivamente militato nel Partito popolare e poi nella Margherita e, da ultimo, nel Pd. E' autore di "Il delegato: storie incredibili di giovani dc in un decennio maledetto” (1999), “Musical scout” (2008) e, con Stefano Garuti, di “Dieci anni con musical scout“ (2009).