Salvare il Pronto soccorso, di Giorgio Verrini

Dal dottor Giorgio Verrini, medico ospedaliero a riposo, riceviamo e pubblichiamo.

«Il Pronto Soccorso ha bisogno di soccorso già da oltre vent'anni,  da quando cioè si iniziò una diffusa riduzione dei posti letto negli Ospedali pubblici (circa 30 mila) con intasamento  dei Reparti di Medicina e Chirurgia che si sono trovati ad avere un tasso di occupazione del 96.4 per cento contro un valore ottimale dell’ 85 per cento (DM n70/2015). In pratica  significa la estrema difficoltà  a ricoverare i pazienti nei Reparti e, a cascata, aumento del boarding cioè l’attesa da parte del paziente di un posto letto, dopo la decisione di ricovero da parte del medico di PS. Il boarding  può durare anche giorni a seconda del tipo di ospedale e del periodo dell’anno (provate ad andare all’Ospedale di Olbia o Rimini nel periodo vacanziero...) o delle ondate epidemiche. Non può essere considerato un fenomeno emergenziale da affrontare con posti barella lungo i corridoi o nelle sale dei medici nei reparti (e durante il Covid anche nelle chiese) e neanche si può affrontare con soluzioni al ribasso cioè a costo zero: occorrono più letti per acuti, più letti di lungodegenza, più medici e infermieri, più assistenza domiciliare, più “territorio”.
 

Sul territorio e sulle Case della Salute abbiamo, fino ad ora, sentito solo tante parole: i medici di famiglia sono pochi e solo il 30/40 per cento lavora in medicina di gruppo, cosi come son pochi gli infermieri per l’assistenza domiciliare. I medici dipendenti ospedalieri (specialmente quelli del PS, ma anche gli urgentisti e molti internisti) fuggono verso il privato. La popolazione  si sa, invecchia e vive più a lungo: il 30.5 degli ultra  sassantancinquenni passa per il PS e per loro, se ricoverati, si calcolano dagli 8 agli 11 giorni di degenza nei vari Reparti. Quindi occorrono più letti in Ospedale per ridurre il boarding. E’ necessario che il lavoro di PS sia gratificato, meno rischioso (vedi medicina difensiva) e ottimizzato per quello che riguarda gli avanzamenti di carriera, per avere più personale.

 Ricordo che la Legge di bilancio prevede uno stanziamento incrementale per il personale dipendente e convenzionato di oltre un miliardo di euro all'anno fino al 2026: quindi i soldi ci sono, ma dovevano essere spesi prima e con lungimiranza invece di correre ai ripari in una cronica emergenza che costringe amministratori e politici locali a soluzioni improbabili e costose (ricorso alle cooperative di medici) oltre che rischiose, come il coinvolgimento degli specializzandi che ricorda molto “i ragazzi del 99” spediti in prima linea nelle trincee della Grande Guerra. Inoltre inviterei a smetterla di attribuire agli accessi impropri gran parte del malfunzionamento dei PS: il problema dei codici bianchi è che solo ex post si confermano bianchi. Ricordo infatti che il Codice colore viene attribuito dal triagista all’ingresso, ma viene confermato solo in uscita dal PS, dopo esami del sangue, accertamenti radiologici, Ecg, eccetera. Per esempio, un dolore toracico improvviso porta il malcapitato in PS (dove se no?) per una diagnosi rapida tramite Rx, Ecg, dosaggio troponina e solo se questi sono nella norma viene etichettato come codice bianco. Questo paziente troverà nella Casa di Comunità  altrettanta velocità e sicurezza diagnostica? Oppure è giusto che si rivolga prima di tutto al proprio medico di famiglia per evitare forse un accesso improprio al PS? Ricordo che il  medico di famiglia ha un compito arduo e complesso che è quello di gestire le cronicità e le fragilità e non è “attrezzato” per gestire le  urgenze».

 Giorgio Verrini, ex medico ospedaliero