Egregio dirigente scolastico dell’Ipsia Vallauri professor Federico Giroldi,
ci permetta di esprimerle tutta la nostra stima. Agli alunni che le hanno chiesto di poter ritinteggiare le pareti della propria aula lei ha concesso la sua approvazione. E non solo perché quell’aula ne aveva obiettivamente bisogno, ma anche – e sta qui tutta la cifra della sua sensibilità – perché, come ha dichiarato ai giornali, “…mi interessava acconsentire al loro desiderio di rendere migliore una cosa che appartiene a tutti come, appunto, i muri di una classe”. Senza enfasi, lei ha colto l’essenza del civismo e, quel che più conta, l’ha trasmessa a dei giovani in formazione che non dimenticheranno facilmente, così si spera, questo episodio. Vorremmo anche manifestarle la nostra solidarietà. Perché nell’elencare tutte le precauzioni alle quali ha dovuto sottostare – no a scale troppo alte, presenza costante di insegnanti, materiale utilizzato che rispetta i requisiti di salubrità, pennelli e colori consentiti dalla Provincia per manutenzioni autonome – ha dimostrato quanto sia complicato oggi, nella scuola, ma verrebbe da dire nella società italiana nel suo insieme dar seguito a una decisione, portare a compimento un fatto, eseguire un’azione. Anche semplice ed elementare come ritinteggiare le pareti di un’aula.
Non è solo colpa dei lacciuoli burocratici e della generale deresponsabilizzazione, ma anche delle ansie delle famiglie che non tollererebbero il benché minimo incidente fra le mura scolastiche e le avrebbero scatenato contro mute di avvocati e valanghe di richieste di indennizzo. Se lo lasci dire dall’esponente di una generazione che non di rado affollava le prime classi elementari con quarantacinque alunni; che ha vissuto alle medie intervalli scolastici nei quali le battaglie tra “greci” e “troiani” assumevano non di rado toni davvero omerici con botte incassate in silenzio; che si procurava fratture nell’ora di Educazione fisica, senza che la notizia finisse sui giornali e il docente alla gogna; che, con in testa gli insegnanti, andava nei sotterranei della Biblioteca nazionale di Firenze a salvare libri dall’alluvione del 1966 fra miasmi infernali che tenevano lontani perfino i pompieri. E che, soprattutto, se ti facevi male a scuola o andavi a riferire a casa che un professore ti aveva dato una sberla, come minimo ti sentivi dire che era stato per colpa tua.