Settegiorni del 29 gennaio

Meraviglie del linguaggio. Non avevamo mai sentito un assessore, in questo caso donna, insistere ripetutamente, per dire “politica”, con il termine inglese policy (il massimo della raffinatezza è di quelli che lo declinano in policies, al plurale, scordando che in un contesto italiano le parole straniere restano invariate). Dev'essere un effetto della lunga frequentazione di esperti docenti e studiosi avvezzi a tripudi di stakeholder, high skilled jobs e less skilled jobs, disembedding, civic creativity, empowerment... Ma a loro si può perdonare: gli specialisti, per intendersi, ricorrono da sempre ai gerghi. I politici debbono invece parlare con tutti: e non li rende più intelligenti se si trasformano in politician. E che dire nel veder definiti dalla medesima amministratrice i partecipanti a un audit (che sta per “seduta di valutazione”, ancor più che di “audizione”) in “auditi” anziché “ascoltati”? Il paradosso è che “audito”, da termine alla moda, in tutti i principali vocabolari diventa l'arcaico italiano di "udito”. C'è qualche cosa di inaudito, in tutto questo. 

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