Settegiorni, su Voce del 16 gennaio

Lasciando trapelare il clima difficile subentrato tra i due negli ultimi anni, Eugenio Scalfari non riesce ad andare oltre un gelido “considero la dipartita di Giampaolo Pansa un evento doloroso” a chiusura del ricordo del giornalista scomparso. Si sa che Pansa era un tipo così: capace di suscitare astio e ammirazione, spesso non disgiungibili. A chi si è appassionato ai suoi articoli ha insegnato innovazione soprattutto nei resoconti politici. Nel sottolineare, cioè, che il dettaglio impercettibile, la smorfia del personaggio, un suo gesto, magari colti al volo con il suo binocolo in Parlamento o a un congresso di partito, lasciavano intravedere più di mille considerazioni astratte. Ha insegnato, Pansa, che la politica la si spiega e la si capisce meglio fuori dalla politica. Da uomo libero e privo di sponde che non fossero quelle della sua curiosità, ha poi buttato un occhio sulle vendette del dopoguerra, Emilia inclusa, scoprendovi un filone che l’ottusità retorica e manichea dell’Anpi e dello zoccolo duro comunista in materia di Resistenza gli ha consegnato su un piatto d’argento. Con Giorgio Bocca è stato uno dei grandi del giornalismo della carta stampata: un giornalismo che sta morendo insieme a loro. E neanche noi, verrebbe da aggiungere presuntuosamente e citando Woody Allen, ci sentiamo troppo bene. 

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