Puntuale – e quest'anno anche un tantino puntuta dati i colori governativi – arriva la Festa del 25 Aprile, che qualcuno vorrebbe cancellare dal calendario e qualcun altro ha elevato a rito liturgico, ben oltre, cioè, l'indubbio valore storico. Si dice che si tratta di una festa divisiva e i pontieri vorrebbero diventasse invece condivisa, in nome di una pacificazione che in Germania è avvenuta e qui da noi ancora no. E per forza: la Germania ha dovuto effettuare un unico ripensamento nazionale, qui da noi c'è stata un guerra civile il cui fronte continua ad allungarsi nella memoria. Quello che però i detrattori non hanno ancora capito, è che il 25 Aprile contiene in sé, e in modo del tutto a-storico e naturale, il senso stesso della festa – tant'è che viene ricordato con raduni e scampagnate in bicicletta, passeggiate sugli argini e sui sentieri di montagna e pastasciutta all'aperto – perché è anche l'accoglienza della primavera. Negare il 25 Aprile, per questo, significa anche rifiutare il senso di un voltar pagina, della luce che ritorna dopo il buio, delle foglie che riprendono a coprire i rami degli alberi, dei canali svuotati che si riempiono di nuovo di acque. In una parola, il senso stesso di una rinascita, anzi, della Rinascita e della Liberazione.